L’album si apre con “Is love”, melodicamente facile da ricordare, resta impressa nella mente grazie al testo cupo, scurissimo, che indaga nelle pieghe dell’amore più profondo. Si prosegue con brani davvero intensi, a volte un po’ complicati ma sempre di impatto, come “Strangers”, canzone che racchiude il sound a cui la band ha abituato il nostro orecchio con il lavoro precedente. E’ il turno, poi, di “Bigger than us”, primo singolo estratto da “Ritual”: il synth iniziale si fa sempre più incalzante e scandisce il ritmo per tutta la canzone. Atmosfere nere ed un incipit che recita: ”You took the tunnel route home, you've never taken that way with me before. Did you feel the need for change?”. McVeigh canta con trasporto l’oscurità dei sentimenti, non solo in questo brano, ma in tutto l’album. Si susseguono veloci “Peace & quiet”, in cui riecheggiano i
“Holy ghost” e “Turn the bells” sono, di sicuro, le canzoni più riuscite di “Ritual”: il primo è un brano di pure sensazioni, palpabilissime; il secondo ha un sapore così “curtisiano” da lasciare davvero sbalorditi. “The power & the glory” e “Bad Love” non suscitano particolare entusiasmo per l’electro un po' già sentita in tanti gruppi indie-fashion del momento; “Come down”, brano che chiude l’album, è una ballad che congeda gli ascoltatori con qualche perplessità.
Nel complesso, “Ritual” è un disco che va ascoltato più volte per essere compreso a fondo. Non ci sono “bugie bianche” che tengano, in questo caso, e la “prova del fuoco” più dura sarà, di certo, il giudizio dei fan.