Sammy Hagar - RED VOODOO - la recensione
Recensione del 14 mag 1999
Se il rock'n'roll elettrico non vi piace, evitatelo. Se siete tentati
dall'acquisto solo in nome dei suoi bei giorni alla corte dei Van Halen,
ascoltatelo prima di comprarlo: delle atmosfere più tipicamente VH non c'é
poi granché. O meglio, qualcosa sì, ma frammentata in giro. Il disco si apre
molto bene, con due pezzi tostarelli che fanno presagire il meglio. Si
tratta di "Mas tequila" e "Shag". Il primo è proprio un r'n'r elettrico con
aperte citazioni da Gary Glitter, festoso e festaiolo, perfetto per un party
ad Acapulco con camerieri sbronzi, tequila, belle ragazze, sigari e, beh,
mas tequila. Il secondo è un rock apertamente sessuale (già dal titolo), con
chitarroni che si intrecciano e la sezione dei Tower Of Power in calibrati
contrappunti. Ma, passata la festa del vibrante approccio, gabbato lo santo.
"Sympathy for the human" è sympatica, ma non troppo dissimile da quanto ci
si potrebbe aspettare da una qualunque cosa media solista del suo vanesio
predecessore nei VH, mentre "Red voodoo", la title-track, fila via con una
band ben oliata e con le contropalle, ma alla fine è una sorta di
boogie-rock senza guizzi. "Lay your hand on me" è la ballatona che ci si
attende, e non è poi male, almeno fino a quando non va deliberatamente a
cercare l'effetto-Kansas, quello per intenderci di "Dust in the wind", e ci
lascia così piuttosto basiti. "Don't fight it", di Wilson Pickett, ci plana
addosso con perfetto trattamento rollingstoniano del periodo "Brown sugar",
mentre invece "The love" convince perché finalmente semplice. Nessuno mette
in dubbio che, alla fine, sia un disco simpatico ed onesto, ma in questo
periodo stanno uscendo pacchi di cose appetitose; quindi calcolate le vostre
finanze e vedete un po' voi. Buon mumble-mumble.