Finley Quaye - CONCERTO A LONDRA - la recensione

Recensione del 25 mar 1998

Finley Quaye, Londra (Sheperds’ Bush Empire) 22 Marzo 1998

Schivo e timido, Finley Quaye raramente suscita l’interesse della stampa ma, ultimamente, i media di settore si sono spesso occupati di lui: prima grazie al recente conseguimento del premio come migliore artista maschile britannico dell’anno, poi per l’ammirevole iniziativa di suonare all’interno di un carcere di Glasgow (Quaye e` parte ghanese, parte scozzese) lo scorso 19 marzo - Finley ha definito il concerto come "il piu` significativo della sua carriera".

Le aspettative sono alle stelle ed i biglietti per tutte le sue date londinesi sono andati a ruba: così, davanti ad un tutto esaurito con un pubblico giovanissimo e quasi esclusivamente bianco (in netto contrasto con quanto si vedra` sul palco), nel bello, caldo ed accogliente Sheperds’ Bush Empire, Finley ha l’occasione per mettere in mostra la sua forte personalità artistica.

La sua musica è una miscela ben fermentata di radici reggae, acid rock e funk, come insegna l’album "Maverick a strike", finora suo unico disco; dal vivo Quaye si libera subito della timidezza che caratterizzava le sue prime apparizioni ‘live’ e, spavaldo, entra in scena per primo, avvicinandosi a salutare ed a raccogliere il lungo benvenuto entusiasta del pubblico delle prime file ancora prima che la prima nota venga emessa. Poi comincia la musica, senza compromessi: reggae, reggae e solo reggae. Sul palco adornato da vari lumicini che creano un sinistro, vago effetto ‘voodoo’, Finley fuma e parla poco. I primi venti minuti sono una lunga introduzione, durante i quali la sua band (otto elementi, di cui tre ai fiati) riempie lentamente di sonorita` afro/reggae/dub il teatro; il pubblico segue il costante crescendo con misto di pazienza ed entusiasmo e Quaye non concede la sua bella e originalissima voce al massimo della sua potenzialita` per tutta la prima mezz’ora.

Il teatro sembra essere avvolto dal pesante ed ipnotico liquido di un dub che ingloba tutto e trasforma i brani dell’album in un lento e corposo reggae tradizionale; perfino la splendida "Even after all" risulterà trasfigurata dall’interpretazione. Siamo nella parte più interessante dell’esibizione, che regala bei momenti di contaminazione ska, con i giri di basso che si fanno piu` funky, la chitarra che si aggiunge senza titubanza agli altri strumenti, i fiati che prendono il sopravvento - e tutto diventa piu` divertente. Il pubblico gradisce e si lascia andare: la splendida "Sunday shining" viene salutata da un’ovazione, e finalmente Quaye dà il meglio di sè, originando una jam esplosiva fra echi di Bob Marley e Happy Mondays. Semplicemente irresistibile!

Quando la band lascia il palco, dopo un paio di bis, e le luci dell’Empire si riaccendono (è trascorsa solo un’ora e venti minuti ed il grande singolo "Your love gets sweeter" manca all’appello...!) il pubblico è in visibilio.

Cio` che rimane al termine del concerto è un fluido e rilassato approccio alla musica, costruito intorno ad una voce sinuosa e morbida, inusuale e gradevole: forse Quaye non è un grande innovatore, ma dimostra un talento che promette benissimo.

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