Quando mi è arrivato il Cd, anche la foto di copertina ha riscaldato le mie aspettative; in auto, la sera, tornando a casa, ho infilato il dischetto nel lettore, e se le atmosfere alla Kraftwerk “dolci” di “Le bugie di François” non mi hanno fatto rizzare le orecchie più di tanto, è stata “Non è possibile” a farmi pensare che - forse - avevo trovato qualcosa di davvero interessante. Una sottile voce femminile, in recitarcantando su un tappeto elettronico, si interrogava in tono conversativo sulla veridicità della conquista della Luna da parte dell’uomo. Un inciso - “scusate la franchezza” - e una frase (“...e torni poi bravino sulla Terra”) mi hanno fatto fermare al primo autogrill per leggere il testo della canzone. (E anche stavolta, “Pop porno” non l’avevo ancora ascoltata: è la terza traccia della tracklist).
Perché ve la faccio così lunga? Per rivendicare una sorta di primogenitura, o, se volete che la faccia più semplice, per convincervi che no, non è stata “Pop porno” a farmi innamorare di Il Genio.
Poi la storia si è scritta da sé. Un giorno di ottobre del 2008 Simona Ventura, durante “Quelli che il calcio”, ha usato “Pop porno”, mimandone il testo e ripetendone le movenze del balletto del videoclip, per rispondere a una critica più feroce del solito di Aldo Grasso. Una bella idea di uno degli autori del programma televisivo, che ha fatto deflagrare la notorietà del brano e con essa quella di Alessandra Contini e Gianluca De Rubertis.
“Pop Porno”, che era già diventata un tormentino, è diventata un tormentone, il video (bellissimo) ha fatto la sua parte, e il boom della canzone ha - come capita spesso - oscurato i meriti dell’album. Che è un disco eccellente, in particolar modo considerando che si tratta di un disco d’esordio: nel quale confluiscono certo pop francese anni Sessanta e l’elettronica morbida e quasi lounge, i tic verbali del linguaggio parlato (“mi rendo conto, questa è una palestra di vita”), le citazioni ultracolte (la migliore è in “Applique”, cercatela, e trovatela se ne siete all’altezza) e le ipallagi sinestetiche (“il telefono squilla a dirotto” in “A questo punto”), e le due voci si alternano e si accompagnano e si sovrappongono con pigra, sensuale indolenza, ma sempre con un sorriso appena accennato (“facciamo sul serio, ma non ci prendiamo troppo sul serio”): lasciando emergere quel tanto di disturbante, di leggermente deragliato che è una componente importante della coppia - o dell’immagine della coppia: il non lasciar capire esattamente chi e cosa sono una per l’altro, e il volerci quasi avvertire “badate che forse non siamo quello che sembriamo... o forse sì”.