Il Genio - IL GENIO - la recensione

Recensione del 01 feb 2009 a cura di Franco Zanetti

Stazione di Milano Rogoredo, pomeriggio del 19 marzo 2008 (me l’ero segnato sull’agenda). Aspettavo un treno per Bologna sfogliando distrattamente un quotidiano free press, e mi è caduto l’occhio su un riquadrino che diceva, più o meno, “Questa sera alla Casa 139 Il Genio presenta l’album di debutto, in uscita per la Disastro Records”. Non so cosa mi abbia più incuriosito, se il nome del gruppo o quello dell’etichetta discografica. Comunque, con un paio di telefonate ho ampliato le mie informazioni, che in quel momento stavano a zero. Ho saputo che la Disastro Records era una filiazione della gloriosa Cramps, e ho chiesto - dato che non sarei potuto andare alla presentazione del disco - che mi venisse inviato il Cd. Il giorno seguente, tornato in ufficio, sono andato a cercare altre notizie sul web, e sono approdato al Myspace del gruppo: scoprendo che si trattava di un duo, e facendomi affascinare/inquietare da un video in bianco e nero intitolato “La Pathetique” (no, il video di “Pop Porno” non esisteva ancora), obliquo abbastanza, con il suo spiazzante playback “sbagliato”, da rendermi ancora più curioso.

Quando mi è arrivato il Cd, anche la foto di copertina ha riscaldato le mie aspettative; in auto, la sera, tornando a casa, ho infilato il dischetto nel lettore, e se le atmosfere alla Kraftwerk “dolci” di “Le bugie di François” non mi hanno fatto rizzare le orecchie più di tanto, è stata “Non è possibile” a farmi pensare che - forse - avevo trovato qualcosa di davvero interessante. Una sottile voce femminile, in recitarcantando su un tappeto elettronico, si interrogava in tono conversativo sulla veridicità della conquista della Luna da parte dell’uomo. Un inciso - “scusate la franchezza” - e una frase (“...e torni poi bravino sulla Terra”) mi hanno fatto fermare al primo autogrill per leggere il testo della canzone. (E anche stavolta, “Pop porno” non l’avevo ancora ascoltata: è la terza traccia della tracklist).
Perché ve la faccio così lunga? Per rivendicare una sorta di primogenitura, o, se volete che la faccia più semplice, per convincervi che no, non è stata “Pop porno” a farmi innamorare di Il Genio.
Poi la storia si è scritta da sé. Un giorno di ottobre del 2008 Simona Ventura, durante “Quelli che il calcio”, ha usato “Pop porno”, mimandone il testo e ripetendone le movenze del balletto del videoclip, per rispondere a una critica più feroce del solito di Aldo Grasso. Una bella idea di uno degli autori del programma televisivo, che ha fatto deflagrare la notorietà del brano e con essa quella di Alessandra Contini e Gianluca De Rubertis.

“Pop Porno”, che era già diventata un tormentino, è diventata un tormentone, il video (bellissimo) ha fatto la sua parte, e il boom della canzone ha - come capita spesso - oscurato i meriti dell’album. Che è un disco eccellente, in particolar modo considerando che si tratta di un disco d’esordio: nel quale confluiscono certo pop francese anni Sessanta e l’elettronica morbida e quasi lounge, i tic verbali del linguaggio parlato (“mi rendo conto, questa è una palestra di vita”), le citazioni ultracolte (la migliore è in “Applique”, cercatela, e trovatela se ne siete all’altezza) e le ipallagi sinestetiche (“il telefono squilla a dirotto” in “A questo punto”), e le due voci si alternano e si accompagnano e si sovrappongono con pigra, sensuale indolenza, ma sempre con un sorriso appena accennato (“facciamo sul serio, ma non ci prendiamo troppo sul serio”): lasciando emergere quel tanto di disturbante, di leggermente deragliato che è una componente importante della coppia - o dell’immagine della coppia: il non lasciar capire esattamente chi e cosa sono una per l’altro, e il volerci quasi avvertire “badate che forse non siamo quello che sembriamo... o forse sì”.
“Il Genio” è un lavoro elegante e obliquo, certo non pop(olare), probabilmente porno per l’esibito (ma non autentico) distacco emozionale col quale racconta i sentimenti. Un disco della nostra epoca, fra retrò e futurismo, intelligente e camp. Da avere e riascoltare una volta all’anno.

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