Christina Aguilera - BIONIC - la recensione

Recensione del 09 giu 2010 a cura di Franco Bacoccoli

Le primissime notizie di Rockol su quello che sarebbe diventato il nuovo album di Christina Aguilera risalgono all'ottobre 2008. Cioé a quasi due anni fa. Non c'era titolo, solo qualche traccia, delle idee. Ma era chiaro che il disco era già nella testa, e nei primi demo, di Christina. "Un suono molto futuristico, robotico, che si appoggia al computer. Sto sperimentando con la mia voce in modi che non avevo mai tentato prima, quasi una sorta di sound tecnico ed ispirato al computer", aveva detto l'artista. A correggere leggermente la rotta, prima di far scappare tutti a gambe levate, intervenne Scott Seviour, dirigente dell'etichetta della cantante, aggiungendo che il futuro album della sua artista sarebbe stato "vivace, positivo e ispirato da Andy Warhol e dalla scena fine anni Sessanta". Nel frattempo evidentemente dev'essere successo qualcosa perché questo "Bionic" è come lo voleva la Aguilera e non come lo avrebbe voluto il dirigente. Ma Christina, diventata mamma nelgennaio 2008, probabilmente ha avuto mano libera fino ad un certo punto. Il risultato finale è un disco fortemente caratterizzato, a due volti, la medaglia e il suo rovescio. Sicuramente c'è stato un compromesso. Metà album è sintetizzato, secco, futuristico, schizzato. L'altra metà, tranne i tre brani finali, è dolce ed avvolgente, una coperta di Linus, un caldo e soffice abbraccio di cashmere. Difficile dire se "Bionic" accontenterà tutti o scontenterà tutti. Certamente chi ha amato la Christina di "una volta" si ritroverà nella seconda metà, mentre chi accetta i suoi esperimenti sonori ascolterà perlomeno con curiosità la prima metà. L'apertura è quasi da choc: arrivano in rapida successione "Bionic", che si agita tra electronica,
Rihanna e fascinazioni futuribili, e "Not myself tonight", una algida Beyoncé ma con tratti madonnosi e la sensazione che sul dancefloor il pezzo (se lo spingono, ma pare di no) potrebbe spopolare. "Woohoo" inizia come "Radioactivity" dei Kraftwerk e poi ne esce un papocchio tra Beyoncé Knowles (sì, di nuovo) e le Spice Girls di "Wannabe". "Elastic love" scorre, poi sulle desolate lande sintetiche di "Desnudate" si innesta una strana entità conturbante e sexy, ispanicamente sudata. "Glam", leggermente giocata sulle ispirazioni di "Justify my love" della signora Ciccone, è un pezzo electrodance abbastanza brillante. "Prima donna" va via senza scossoni. Poi lo spartiacque. Il punto di svolta è "Morning dessert", breve e gradevole intermezzo sognante e lieve. Atto primo terminato, inizia il secondo. "Sex for breakfast" sono quasi 5 minuti di ottimo e sensuale soul/R&B, "Lift me up" è una bella ballata scritta e prodotta da quel genio di Linda Perry, una canzone sentimentale con tutti i toni giusti. "All I need" si rivela un lento ispirato di squisita fattura subito seguito da un altro lento di gran scuola, "I am". L'atto secondo si chiude sulla suadente e soffusa "You lost me", da applausi a scena aperta. Poi accade qualcosa di bizzarro. Quasi come se Christina volesse riagganciarsi al canovaccio originale, i tre brani conclusivi, e cioé "I hate boys", "My girls" e "Vanity" tornano, anche se in maniera meno esasperata, al sound iniziale. Un album che fa balenare grandi novità, e poi si ritrae su sentieri ben battuti. Un disco che parte coraggioso, ma poi ha paura delle conseguenze o d'apparire troppo monotematico. Chissà, forse alla fine è stato meglio così anche se rimane l'impressione d'una bella dose di indecisione.


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