Blakroc - BLAKROC - la recensione

Recensione del 15 gen 2010

Dietro la parola Blakroc si nascondono un disco e una storia.
La storia racconta che Damon Dash invitato da alcuni amici a un concerto dei
Black Keys , a lui totalmente sconosciuti fino a quel momento, alla loro vista viene fulminato come Saulo sulla via per Damasco. Dopo averci ragionato su frazioni di secondo decide di contattare i due visi pallidi, verificare la loro disponibilità ed esporre il suo piano.
Il vecchio, si fa per dire, Damon non è proprio l’ultimo degli sprovveduti nella cittadella della musica se, come è maledettamente vero, le sue intuizioni commerciali – prima fra tutte la creazione, con il sodale Jay-Z , della “mitica” etichetta discografica Roc-a-Fella Records - lo porterebbero, solo lo desiderasse, a potersi permettere una nuotata come zio Paperone in una piscina piena di monete d’oro. I Black Keys che sono, di questi tempi, la cosa più eccitante in Ohio dopo “The chosen one” LeBron James, accettano la convocazione del padrino e il progetto pare avere tutte le carte in regola per non passare inosservato. Unire il bianco con il nero, perchè di questo si tratta, è un’operazione che non ha il profumo della rivoluzione, come non è rivoluzionario far condividere la sala di registrazione a talenti di diversa provenienza musicale. Nessuna rivoluzione e nessuna garanzia sulla bontà del risultato finale.
Ciò che Damon Dash ha certamente fiutato e intuito sin dal primo momento è che Dan Auerbach e Patrick Carney vivono e respirano musica ogni secondo della loro esistenza, quello che può solo immaginare è che le loro radici affondano tanto nel blues del Delta quanto nelle rime del Wu-Tang Clan . E allora: undici canzoni in undici giorni, senza inutili perdite di tempo. Un buona la prima teso a cogliere l’attimo fuggente, a privilegiare la superiorità del genio sul raziocinio, ad afferrare l’impalpabile essenza dell’arte: i Black Keys vanno alla casa del rap.
Il disco racconta che in “Coochie” avviene un mezzo miracolo, si palesa infatti la voce di Ol' Dirty Bastard , scontratosi con una dose sbagliata e passato a miglior vita il 13 novembre 2004, proprio due giorni prima del suo trentaseiesimo compleanno, il merito di questa magia è da ascrivere a una vecchia registrazione cavata dal cilindro da Mago Damon che si incastra alla perfezione con il tiro di Ludacris e la puntuale chitarra di Dan per un’apertura esemplificativa di quanto andremo ad ascoltare. “On the vista” sembra dare una tregua, forse per il canto così cool di Mos Def , forse per la fugace presenza di una tastiera, forse per l’atmosfera rilassata e rallentata. Ma, come un miraggio nel deserto, è pura impressione, è un gioco di prestigio, la materia è quanto mai omogenea e fluida. Noe in “Hard times” non si tira indietro con le rime mentre il controcanto è a cura di Dan. Uno stop and go improvviso e ci si ritrova a scivolare senza scampo verso il fondo della palude, a questo giro non si fanno prigionieri
Pharoahe Monch e sua maestà RZA sono semplicemente perfetti. In “Why can’t i forget him”, la suadente Nicole Wray - la manda Missy Elliott - sposta il registro verso il soul di classe preparando il vigliacco agguato teso da Raekwon , un altro componente della santa posse nella notturna e metropolitana “Stay off the fuckin’ flowers”. “Ain’t nothing like you (hoochie coo)” sdogana un rapper “facile” e “commerciale” come Jim Jones che non sfigura al fianco di Mos Def e riassume il progetto Blakroc scandendo “we make good music just usin’ the black keys”, difficile contraddire il commento di Letterman dopo averli ospitati nel suo show:“Blakroc, pretty cool”. Qui non si lascia mai, si raddoppia sempre e, quando possibile, si va per la tripletta ecco quindi Billy Danze e Q-Tip supportati da Milady Nicole già apparsa in una puntata precedente, “Hope you’re happy” si augura il terzetto...di più, molto di più...la temperatura è alta, sarebbe il caso di aprire una finestra nonostante il meteo lo sconsigli vivamente...la resident band è sempre la stessa ora al microfono è tornato RZA a contarla su. Un organo assassino, senza nessuna pietà, assesta un colpo basso quasi definitivo, si abusa dell’evidente stato di grazia e, pensando di essere invulnerabili, si spinge a fondo sull’acceleratore, “What you do to me” è un soul perfetto, malato, ammaliante e trascinante che gode di Nicole ma non può fare a meno di Jim e Billy. L’ultimo giro di giostra ci riporta al punto di partenza, e, per una volta, la scena è rubata dalla sei corde per un finale degno, se mai ce ne è uno.

L’impressione che Dan e Patrick abbiano trascorso l’equivalente musicale di undici giorni a Disneyland comprendendo appieno quale razza di opportunità sia capitata loro è netta e immediatamente percepibile. Blakroc è un viaggio alle radici ma con lo sguardo puntato sul futuro. Un viaggio che, a detta di Dan Auerbach, non si è concluso qui. Aspettiamoci un secondo capitolo.


(Paolo Panzeri)

Tracklist

01. Coochie featuring Ludacris & Ol’ Dirty Bastard
02. On the vista featuring Mos Def
03. Hard times featuring Noe
04. Dollaz & sense featuring Pharoahe Monch & Rza
05. Why can’t i forget him featuring Nicole Wray
06. Stay off the f@#s%n’ flowers featuring Raekwon
07. Ain’t nothing like you (hoochie coo) featuring Jim Jones & Mos Def
08. Hope you’re happy featuring Billy Danze & Nicole Wray & Q-Tip
09. Tellin’ me things featuring RZA
10. What you do to me featuring Billy Danze & Jim Jones & Nicole Wray
11. Done did it featuring Nicole Wray & Noe

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