Sul versante personale, invece, negli anni per Bove sono arrivati matrimonio e, da quanto si intuisce nella conclusiva “La mia lucciola”, anche una paternità - celebrata in pubblico come ormai di rito -, esperienze che hanno aggiunto tranquillità e solidità compositiva al suo talento, da sempre fuori discussione. Le metriche, i pattern ritmici, gli interventi degli archi sono dei veri e propri trademark per questa band che ostinatamente continua a portare avanti il suo discorso artistico: unica eccezione, il brano “Mattonelle verdi”, una novità per la penna di Bove, uno strano incrocio di tradizione popolare romana, arrangiamenti d’archi e un violino balcanico, che ha come argomento alcune riflessioni sulla morte. Per il resto “Combo” contiene degli splendidi episodi, che coniugano denuncia sociale e piccole perle di saggezza, remando contro una cultura che ormai è preda di se stessa e di necessità fittizie sempre crescenti e riportando invece al centro del piatto la felicità dell’accontentarsi, la riscoperta delle piccole cose, della sostanza al posto della forma. Detta così suona un po’ naif, e non è un caso che proprio “Naif” fosse il titolo del loro precedente album del 2005, ma in realtà non lo è: al contrario la naiveté dei testi di Bove è proprio una sequenza di immagini nitide e indovinate che colpiscono continuamente il bersaglio, e si calano dentro chi ascolta.
Anticipato dal singolo “Come parlo di te”, un ballad romantica che può fare la gioia di molte radio, “Combo” è una bella notizia, come lo sono i ritorni quando avvengono perché si hanno delle cose da dire e non soltanto per impegni o scadenze da rispettare.