Iggy Pop - PRELIMINAIRES - la recensione

Recensione del 18 giu 2009 a cura di Gabriele Lunati

Bisogna ammettere che nell’avvicinarsi a questo disco le premesse non erano delle più rosee e per due motivi: uno squisitamente musicale, l’altro più umano.
Nel primo rientrano le dichiarazioni imbarazzanti di Iggy Pop a corredo dell’uscita di "Préliminaires". Cito testualmente: “A un certo punto mi sono stufato di ascoltare idioti con chitarre che sparavano fuori musica di merda ed ho cominciato ad ascoltare un sacco di roba della scena di New Orleans, quel tipo di jazz alla Louis Armstrong o Jelly Roll Morton. E poi mi sono sempre piacute le ballad”.
Nel secondo il cinismo con cui Iggy riforma – in contemporanea - la seconda reincarnazione degli Stooges , cioè Iggy & The Stooges, quelli dell’album “Raw Power” per intenderci (in cui Ron Asheton fu relegato al basso), e la conseguente contraddizione con quanto sopra affermato (senza contare l’ennesimo sfregio nei confronti del compianto Ron e la totale mancanza di rispetto per la sua morte improvvisa e solitaria).
A voler proprio poi mettere l’accento su certi dettagli (per non dire il bastone tra le ruote) ci sono le altre dichiarazioni di Iggy in merito al fatto di avere pubblicato un prodotto quasi esclusivamente per il mercato francese e, cover a parte, di essersi ispirato per i testi al romanzo “La possibilità di un’Isola” del controverso romanziere Michel Houellebecq.

Bene. I pregiudizi sono una brutta rogna ed essere prevenuti prima di un ascolto non giova alla lucidità con cui si può esprimere una critica, ancor più quando scopri che Mr. Pop si è pure cimentato in un rifacimento di un classico dei classici quale è “Les Feuilles Mortes”, epica chanson di Joseph Kosma e Jacques Prévert , già cantata in Francia da artisti come Edith Piaf e Yves Montand. Lo scompenso emotivo è totale e dopo un certo numero di rewind ti assalgono alcuni dubbi e una domanda precisa: doveva voleva andare a parare Iggy con questo lavoro? Ce l’hanno spacciato come la svolta “crooner” dell’iguana ma, tralasciando lo sconforto per la sua versione da aperitivo o da sfilata di moda (scegliete voi) della sopra citata chanson – che resta l’episodio più infelice di tutta l’operazione – ritroviamo un brano alla Nick Cave (senza Bad Seeds, purtroppo) come può essere “I want to go to the beach”, piuttosto che un’involontaria parodia di Tom Waits nemmeno poi tanto sbronzo e accompagnato da una dixie band in “King of the dogs”, per non parlare poi di “Spanish coast” e “How in sensitive” (pezzo firmato da Antonio Carlos Jobim) che sembrano due brani inediti dei primi Cousteau rivisitati in chiave Bowie. Per il resto contiamo più di un’autocitazione (“Nice to be dead” e “Hes dead/Shes alive”), una parentesi schizofrenica dal sapore electro-funk (“Party time”), altri due o tre brani appiccicati lì, quasi fossero dei riempitivi, per finire con una seconda – recidiva – versione di “Les Feuilles Mortes”, onde evitare che i più distratti si dimentichino che sì, Iggy sa cantare in francese e questo è un album per vendere in Francia (Bravo!, esclamato con la erre un po’ moscia).

Peccato però, un’occasione sprecata: in fondo i pezzi avevano tutti – comunque – le potenzialità per diventare delle ballate destinate a durare un po’, non di certo a restare nella storia della musica ma nemmeno a essere rimosse il più in fretta possibile. E poi c’è la sua voce, grave, pacata, totale, che se la ami, la ami sino in fondo ed è così ruffiana che ti fa digerire anche quello che non vuoi ascoltare. E’ così che poi si finisce per perdonarlo, augurandosi che prima o poi rinsavisca musicalmente e che la vita gli conceda tempo a sufficienza per diventare una persona migliore di quella che è.

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