Difficile perché la scelta compiuta da Alice a metà degli anni Ottanta (diciamo in coincidenza con l’uscita di “Park Hotel”, 1986) l’ha portata a frequentare repertori lontani dal pop, e l’ha in un certo senso confinata a un ruolo di artista “alta”, a volte persino un poco altera, che le ha costantemente assicurato ampi consensi critici ma l’ha quasi inevitabilmente allontanata dal grande pubblico (ad eccezione, s’intende, di quanti - come dice bene una nota di ringraziamento nel libretto del CD - la seguono “con perseveranza incredibile e straordinario affetto”).
Il 22 dicembre 2006 la Basilica di San Marco a Milano era gremita, e in quel giorno Alice ha tenuto il recital che questo Cd, il suo primo disco dal vivo, documenta parzialmente (“Il mio concerto conteneva tutta una parte dedicata alla preghiera che nell'atmosfera della basilica di San Marco aveva un valore, ma non si amalgamava col resto del concerto” ha spiegato in un’intervista recente). Quel che è stato incluso nel Cd spazia dal 1985 di “Gioielli rubati” (“Prospettiva Nevski”, di Franco Battiato e Giusto Pio, che però risale al 1980 di “Patriots”) al 2003 di “Viaggio in Italia” (“Febbraio”, con testo di Pier Paolo Pasolini e musica di Mino Di Martino), passando cronologicamente per il 1986 di “Park Hotel” (“Nomadi”, di Juri Camisasca), il 1988 di “Exit” (“Il contatto”, firmata da Alice), il 1989 di “Il sole nella pioggia” (“L’era del mito”, ancora di Camisasca, e “Anin a grîs”, canzone in friulano - il titolo significa “Andiamo a grilli” - di Marco Liverani e della poetessa Maria Di Gleria), il 1995 di “Charade” (“Gli ultimi fuochi” e “Dammi la mano amore”, entrambe ancora di Alice), il 1998 di “Exit” (“1943”, di Mino Di Martino, e “Il contatto”, anche questa di Alice). Inedite su album sono tre cover: “A’ cchiu’ bella” (testo di Totò musicato da Maria Antonietta Sisini e
Alice, che oltre a cantare suona pianoforte e tastiere, è accompagnata da Alberto Tafuri (tastiere, chitarra e arrangiamenti), Steve Jansen (batteria, percussioni, tastiere, programmazione) e Marco Pancaldi (chitarre).
La documentazione sonora del recital conferma quanto dicevo in apertura: la raffinata eleganza e l’intensa compostezza dell’interpretazione vocale suscitano ammirazione, i tessuti sonori si drappeggiano intorno alla voce così peculiare dell’interprete, e tutto è impeccabile, inappuntabile, ineccepibile. Ma, inevitabilmente, distante dalla semplice sensibilità popolare. Ad eccezione, e non è un caso, di “A’ cchiu’ bella”: la cui cantabilissima melodia, le cui le cui semplicissime parole d’amore (“Tu si 'a cchiù bella cosa ca tene stu paese, tu si comm' a na rosa, rosa... rosa maggese. Sti ccarne profumate me metteno int' 'o core comme fosse l'essenza, l'essenza 'e chist'ammore”) toccano il cuore e commuovono, facendomi pensare quanto sarebbe bello se Alice decidesse, almeno per un album, di tornare a regalare la sua voce alla canzone pop.