Robyn Hitchcock - GOODNIGHT OSLO - la recensione

Recensione del 28 gen 2009

Il riff swamp rock di “What you is”, traccia numero uno, sembra arrivare dritto dritto da un vecchio vinile dei Creedence. E l’uomo al microfono potrebbe anche essere scambiato per Steve Wynn, il rocker di Los Angeles che oggi vive a New York. Invece è Robyn Hitchcock, l’erede designato di Syd Barrett che due anni dopo “Olè! Tarantula” si diverte un’altra volta a fare l’americano. Con Peter Buck (chitarra), Scott McCaughey (basso) e Bill Rieflin (batteria) alias i Venus 3 a fargli nuovamente da spalla, lui è il frontman e l’inglese del gruppo, “come Davy Jones nei Monkees e Graham Nash in CSN&Y”. E a dispetto di un titolo che rievoca i ricordi annebbiati di una notte norvegese di tanti anni fa, la musica sa poco di nordico e molto di frontiera americana (“Hurry for the sky”, per esempio, è una piccola locomotiva che singhiozza a ritmo di
shuffle e sferraglia come una chitarra slide) quando non di California adolescente e festaiola, con una “Saturday groovers” clamorosamente beachboysiana, tutta coretti surf, fiati spensierati e chitarra fuzz in stile “Nuggets”.
“Music for fun”, a prima vista, e dieci canzoni quasi sempre a passo spedito, senza starci troppo a pensare. Con il jingle jangle di Buck sempre in bella evidenza (la title track, la squillante e semiacustica “Intricate thing”), e tante belle voci ad armonizzare di contorno: Colin Meloy dei Decemberists, Sean Nelson degli Harvey Danger, la gallese Lianne Francis, il Morris Windsor reduce dalle campagne anni Settanta e Ottanta con Soft Boys ed Egyptians. Il chitarrista dei R.E.M. mette anche la firma nel pezzo più luccicante della collezione: un folk rock ipnotico e penetrante che apre la seconda facciata virtuale del disco e che di nome fa “Sixteen years”, arpeggio di chitarra in stile Davy Graham e Bert Jansch e armonica lancinante, un suono transatlantico coerente con il percorso di un album registrato tra Londra, Seattle e Tucson. Da sola, vale il disco. Il resto viaggia a buona velocità di crociera, fluido e leggero ma non superficiale, e peccato che nel sottile libretto decorato dai surreali disegnini di Robyn non ci sia posto per i testi (brutta abitudine sempre più diffusa, quella di ometterli dalla confezione dei cd). “Up to our nex”, uno degli episodi più vivaci con qualche retrogusto ska/caraibico, è piaciuto così tanto all’amico Jonathan Demme che il regista ha deciso di includerlo nella colonna sonora di “Rachel sta per sposarsi”, il suo ultimo film con Anna Hathaway e Debra Winger protagoniste e in cui Hitchcock si ritaglia un fuggevole cameo. Lì è la sezione fiati a spargere un pizzico di pepe sulla pietanza, mentre un sax e una spolverata d’archi conferiscono a “TLC” un sapore nostalgico da balera anni Cinquanta. Tutto qui: canzoni lineari ma brillanti, lievi e scanzonate. Non aspettatevi miracoli, non è più tempo e in fondo a “Goodnight Oslo” manca lo spessore arguto di un disco come “Spooked”, affascinante e spettrale operina acustica confezionata qualche anno fa in compagnia di altri amici americani, Gillian Welch e David Rawlings. Lo sa anche Hitchcock che certe ambizioni giovanili sono destinate a non realizzarsi (“le mie”, ha detto una volta, “erano viaggiare nel tempo, guarire gli ammalati e levitare”). E che incrociare penna, voce e chitarra con altri musicisti (ultimamente ha suonato con Ryiuchi Sakamoto, scritto canzoni con KT Tunstall) è un bel modo per uscire dalla crisi di mezza età e dalla routine ripetitiva. Ma allora che aspetta a tirar fuori dal cassetto le altre canzoni che ha scritto con Andy Partridge degli Xtc, eccentrico e very British quanto lui?



(Alfredo Marziano)

Tracklist

01. What you is
02. Your head here
03. Saturday groovers
04. I’m falling
05. Hurry for the sky
06. Sixteen years
07. Up to our nex
08. Intricate thing
09. TLC
10. Goodnight Oslo

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