dEUS - VANTAGE POINT - la recensione

Recensione del 29 mag 2008 a cura di Ercole Gentile

Quando si è amato alla follia un gruppo e questo si fa rivedere con un nuovo album si è sempre curiosi, pur avendo paura di rimanere delusi da una prova non all’altezza. Dopo aver sudato e pianto sulle note di dischi capolavoro come gli sperimentali “Worst case scenario” e “In a bar, under the sea” ed il più lineare “The ideal crash”, ogni nuova uscita dei dEUS è un grande punto di domanda. Saranno riusciti a rinverdire i fasti dei primi album? Avranno cambiato troppo? Si saranno affievoliti?

Tre anni or sono la compagine indie-rock belga capitanata dal “padre-padrone” Tom Barman (l’unico membro originale insieme al violinista Klaus Janzoons) tornò dopo quasi sei anni di silenzio (se si esclude una raccolta ed un mini-tour) con “Pocket revolution”, un album discreto che rappresentò alla perfezione il proprio titolo: una rivoluzione tascabile, quasi insensibile, un sound molto simile ai precedenti dischi, ma non agli stessi livelli.
Oggi è la volta di “Vantage point”, il cui titolo deriva dal nome dello studio di registrazione che i dEUS hanno costruito ad Anversa, loro città natale.
Il disco è stato anticipato da due singoli pubblicati sul sito ufficiale della band e sul loro Myspace: “The architect” e “Slow”. Il primo è un electro-funk allegro e danzereccio, formula totalmente nuova per il gruppo, ma ben riuscita e molto orecchiabile (in Belgio è arrivato al secondo posto nella classifica dei singoli). Il secondo è un indie-rock più vicino, ma non uguale, al caratteristico sound della band, con ritornello semi-elettronico e seconda voce nascosta (troppo) ad opera di Karin Dreijer Andersson dei Knife (ricordate “What else is there” dei Royksopp?). Episodi diversi tra loro che lasciano comunque presagire un cambio di direzione.

Passano poche settimane ed ecco l’intero album che conferma e smentisce le anticipazioni. Conferma la presenza di una nuova direzione, lascia inizialmente scettici, salvo dopo alcuni ascolti smentire la totale separazione dal passato. Lo stile dei dEUS c’è ancora, ma è meno pressante, lascia maggiore spazio alla fruibilità ed alla leggerezza, ma non scompare. Ecco allora i ritornelli esplosivi di “When she comes down”, il rock tirato e veloce di “Oh your God” (che ricorda i francesi Noir Desir), la “ballata sviolinata” di “Eternal woman”, l’indie-pop sognante di “Popular culture”. Certo, poi ci sono un paio di brani di cui si potrebbe fare anche a meno come “Smokers reflect” e “The vanishing of Maria Schneider” (in cui partecipa il cantante degli Elbow Guy Chambers), ma difficilmente in questo campo si fa l’en plein.
Insomma “Vantage point” non è un capolavoro, ma è un buon disco. Difficilmente i “veterani” quando vorranno ascoltare un disco dei dEUS metteranno nel lettore l’ultimo lavoro, ma questo (pur non essendo una giustificazione) non avviene praticamente per quasi tutte le band dal passato glorioso? Inoltre l’album in questione, grazie ai singoli sopra citati, potrebbe accaparrarsi nuovi ascoltatori, neofiti che si avvicineranno con orecchio vergine ad un gruppo belga dal nome provocatorio. Un punto a favore?


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