Il disco, invece, uscì solo l'anno dopo, il 1999. Si intitolò “Pleasant, pigs & astronauts”, e fu un flop, nonostante fosse più che dignitoso. Contribuirono in maniera decisiva allo scioglimento della band le tensioni causate dalle accuse di simpatie filonaziste di Mills, risalenti ad una sciagurata intervista all'NME del 1997.
“Strangefolk” è invece il titolo del terzo disco di questa band, che arriva 8 anni dopo il suo predecessore. Da classificare sotto la dicitura “ritorni inattesi”: dopo fallimentari esperienze soliste di Mills, la band ha annunciato il suo ritorno sulle scene all'inizio dello scorso anno, con la formazione originale (è cambiato solo il tastierista) e, sopratutto, con lo stesso piglio.
Non sapendo niente di “Strangefolk”, si rischierebbe di scambiarlo per un disco della "summer of love" di fine anni '60, qualcosa sulla falsariga dei Jefferson Airplane o giù di lì. Questo è sempre stato il pregio ed il difetto di Mills e soci, oggi come allora. Però le canzoni, oggi come allora, sono ottime, e arrangiate bene, seppure in maniera tremendamente inattuale. Gli episodi migliori sono quelli più “psichedelici”, come “Song of love/Narayana”, con i suoi coretti indiani, o “The fool that I am”. Rispetto ai due dischi di metà anni '90 manca forse la canzone-killer, ma il disco non ha cadute di tono, rimane dall'inizio alla fine su alti livelli.
Forse oggi i Kula Shaker non saranno più la “next big thing” che si credeva che fossero. Forse questa mancanza di pressione e di aspettative non può fare che bene, a giudicare da questo disco, perché, oggi come allora, i Kula Shaker continuano a fare ottima musica.