Luca Urbani - ELECTRODOMESTICO - la recensione

Recensione del 09 mar 2007 a cura di Paola Maraone

Dimenticate i divertenti ritornelli di “I am happy”, tormentone dell’estate 1998 con cui Luca Urbani, assieme al socio di allora Gabriele D’amora, s’impose all’attenzione del mondo con i Soerba. I riferimenti musicali di questo ex ragazzo, che una volta cresciuto ha scelto di tentare la carriera solista, non sono cambiati radicalmente: il contesto è sempre quello dell’elettronica, ma dal techno-pop (appunto, allegro e scanzonato) siamo passati a un ambiente più introspettivo e maturo, più raffinato anche, a tratti decadente, certo non solare come un tempo. I non-sense, i giochi di parole, le atmosfere surreali sono sempre le stesse; manca la spensieratezza, ed è giusto che sia così, perché come tutti dicono (e ci sarà un motivo) i vent’anni sono quelli in cui ti diverti, i trenta quelli in cui fai le cose sul serio, o almeno ci provi.

Così in quest’album minimal a partire dalla grafica di copertina e del libretto, che nelle intenzioni originarie doveva essere del tutto self-made e poi, per la strada, si è un pochino raffinato, troviamo undici canzoni che fotografano il Luca Urbani del 2007. Lo fotografano come il giovane uomo che è; un tizio che agli anni di Cristo sceglie di portare sulle spalle la sua personale croce sottoforma di un disco sincero, assolutamente non-furbo, fedele a se stesso, curato, originale. Il rischio solipsismo/isolamento è in agguato, come in tutte le operazioni molto (troppo?) autoreferenziali, ma è un prezzo da pagare per chi come Urbani non ha voglia di piegarsi alle regole di ciò che è molto (troppo?) pop.
Non ascoltate questo disco se siete inclini alla depressione, ma se non è un periodo particolarmente negativo e se siete (anche solo vagamente) interessati all’elettronica invece compratelo, è una buona occasione per (ri)scoprire un genere e un autore che hanno ancora qualcosa da dire. Brani vincenti: il singolo “Top song”, e poi “Festa borghese” e “Il mondo è uno slogan”, ottimi spunti per riflettere – ogni tanto non fa male – su quello che succede oltre la porta di casa.


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