Allo stesso modo si deve rendere onore ad Amy per essere riuscita a superare diverse avversità intercorse prima e durante la lavorazione del nuovo album “The open door”. L’abbandono della band da parte dell’altra mente del gruppo Ben Moody (e la fine della loro relazione), poi un infarto al nuovo chitarrista Terry Balsamo (ex Cold) ed infine l’abbandono del bassista Will Boyd per stare più vicino alla famiglia. Mica male.
Ma evidentemente Amy Lee ha dentro il fuoco della determinazione e di chi sa dare tutto alla causa per la quale “combatte”, perché ha superato tutte queste difficoltà e si è messa a scrivere il nuovo lavoro. E il peso sulle spalle dopo le 12 milioni di copie vendute con “Fallen”, non era sicuramente da poco.
Si notano subito tre cose spiando all’interno della “porta aperta”. La già citata (e inconfondibile) voce di Amy, lo stile più soft del nuovo chitarrista e l’uso massiccio del pianoforte. Rispetto a “Fallen” sono più numerosi i brani maggiormente riflessivi, anche se non mancano attacchi decisamente rock che accarezzano l’heavy, insomma una rivoluzione c’è, ma piccola piccola.
Si prenda ad esempio il singolo “Call me when you’re sober” che può ben rappresentare la maggior parte delle canzoni dell’album: parla d’amore e solitudine, danza sulle note agrodolci del pianoforte e sfocia in un violento attacco rock dal retrogusto gotico (che prima o poi arriva quasi sempre, tranquilli). Sintesi perfetta del suono “evanescente”: inconfondibile ed innegabilmente azzeccato. Alla lunga però il giocattolo può essere un po’ troppo ripetitivo ed ecco così che si riesce ad apprezzare molto la leggera e breve “sperimentazione” di “Snow white Queen”, con un attacco elettronico in stile trip-hop e la voce della cantante di Little Rock che danza su sonorità cupe fino all’incursione chitarristica che, per fortuna o purtroppo, riporta il tutto alla normalità. Solo un piccolo esperimento, ma di grande valore e chissà che non possa essere uno spunto per il futuro. Apprezzabile anche la ballata finale al pianoforte “Good enough” che dimostra le grandi qualità cantautorali della tuttofare Amy.
Ma sì, in fondo che motivo avrebbero gli Evanescence di sconvolgere il loro suono? Suonano la musica che amano, la ama anche il pubblico (quindi oltre alla soddisfazione personale c’è anche quella economica) e si sono creati uno stile personale inconfondibile.
Il rischio è il sale della vita si dice, ma in questo momento quanti lo farebbero al posto loro?