Red Hot Chili Peppers - STADIUM ARCADIUM - la recensione

Recensione del 17 mag 2006 a cura di Gianni Sibilla

Una grande attesa ha segnato l’arrivo di questo disco. Inevitabile: i Red Hot sono uno dei gruppi rock di maggior successo al mondo, e non pubblicavano dischi di inediti da quattro anni. Un greatest hits e un live hanno ingannato la lunga attesa, lasciando anche supporre una stasi creativa dopo il tanto (troppo?) successo. Se poi ci mettete anche la strategia promozionale (con interviste a raffica, concerti per i media come quello di Milano di qualche giorno fa) capite ancora meglio.

L’ultimo tassello di questa attesa è datato 2 maggio, una settimana prima dell’uscita statunitense. Il disco finisce in rete, e Flea scrive ai propri fan una lettera a cuore aperto, dicendo sostanzialmente: “ci spiace che sia successo, ci siamo fatti un mazzo cosi per fare questo disco, ci abbiamo l'anima, e oltretutto vi arriva in una versione di scarsa qualità. Non spezzateci il cuore, non scaricatelo”.
I Red Hot, a dirla tutta, sono stati anche abbastanza fortunati: il disco è finito in rete con poco anticipo rispetto all’uscita, rispetto ad altri dischi molto attesi di questo periodo. Ma cosa colpisce della mail di Flea (la potete leggere per intero sul sito ufficiale: http://www.redhotchilipeppers.com/news/journal.php?uid=213) è il tono tutt’altro che da rockstar. Certo, ci sono anche interessi commerciali dietro un caso del genere, e ormai i Red Hot Chili Peppers sono una vera e propria multinazionale. Ma l’immagine che cercano di trasmettere è quella di un gruppo di persone vere. Lo dimostra la loro storia e lo dimostra questo disco, “Stadium arcadium”.
“Stadium arcadium” è un torrenziale disco doppio, 28 canzoni (in origine dovevano essere 35, per tre CD): la prima cosa che dimostra è che i Peppers potranno pure fare centinaia di migliaia di persone ai loro concerti, vendere milioni di copie, ma non hanno perduto in creatività. Certo, 28 canzoni sono tante, è “Stadium arcadium” è un disco impegnativo, nel senso che due ore di musica da ascoltare non sono semplicissime, e non è semplicissimo capire in mezzo a tanta musica cosa piace di più e cosa piace di meno. Però cosa viene fuori dall’ascolto è che Flea non mente quando dice che i Peppers ci hanno messo l’anima in queste canzoni, e nessuna è meno che dignitosa.
Semmai, la critica che si può fare a “Stadium arcadium” è che è vero che l’eccessiva lunghezza del disco è giustificata dalla buona qualità del materiale, ma è altrettanto vero che i Peppers hanno un po’ la tendenza a rifare se stessi. Aspettatevi belle canzoni, che spaziano dalle ballate alla “She looks to me” al funk rock di “Hump de bump”, ai mid-tempo come “Dani california”; aspettatevi svisate e riff fulminanti da quel genio assoluto che è John Frusciante; aspettatevi giri di basso unici da Flea, e aspettativi belle melodie da Kiedis. Aspettatevi tutto questo, ma non aspettatevi nulla di sconvolgentemente nuovo.

“Stadium arcadium” è un disco che riesce ad unire la svolta melodica dell’ultimo “By the way” (2002, da molti criticato proprio per questo motivo) con l’aggressività e il rock nero dei due capolavori della band, “Blood sugar sex magik” e “Californication”. Insomma, i Red Hot Chili Peppers, come tutti i grandi gruppi di successo, hanno raggiunto un punto di equilibrio, una loro identità ben definita da cui cercano di non deviare più di tanto, e “Stadium arcadium” ne è la migliore dimostrazione possibile.

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