L’ultimo tassello di questa attesa è datato 2 maggio, una settimana prima dell’uscita statunitense. Il disco finisce in rete, e Flea scrive ai propri fan una lettera a cuore aperto, dicendo sostanzialmente: “ci spiace che sia successo, ci siamo fatti un mazzo cosi per fare questo disco, ci abbiamo l'anima, e oltretutto vi arriva in una versione di scarsa qualità. Non spezzateci il cuore, non scaricatelo”.
I Red Hot, a dirla tutta, sono stati anche abbastanza fortunati: il disco è finito in rete con poco anticipo rispetto all’uscita, rispetto ad altri dischi molto attesi di questo periodo. Ma cosa colpisce della mail di Flea (la potete leggere per intero sul sito ufficiale: http://www.redhotchilipeppers.com/news/journal.php?uid=213) è il tono tutt’altro che da rockstar. Certo, ci sono anche interessi commerciali dietro un caso del genere, e ormai i Red Hot Chili Peppers sono una vera e propria multinazionale. Ma l’immagine che cercano di trasmettere è quella di un gruppo di persone vere. Lo dimostra la loro storia e lo dimostra questo disco, “Stadium arcadium”.
Semmai, la critica che si può fare a “Stadium arcadium” è che è vero che l’eccessiva lunghezza del disco è giustificata dalla buona qualità del materiale, ma è altrettanto vero che i Peppers hanno un po’ la tendenza a rifare se stessi. Aspettatevi belle canzoni, che spaziano dalle ballate alla “She looks to me” al funk rock di “Hump de bump”, ai mid-tempo come “Dani california”; aspettatevi svisate e riff fulminanti da quel genio assoluto che è John Frusciante; aspettatevi giri di basso unici da Flea, e aspettativi belle melodie da Kiedis. Aspettatevi tutto questo, ma non aspettatevi nulla di sconvolgentemente nuovo.
“Stadium arcadium” è un disco che riesce ad unire la svolta melodica dell’ultimo “By the way” (2002, da molti criticato proprio per questo motivo) con l’aggressività e il rock nero dei due capolavori della band, “Blood sugar sex magik” e “Californication”. Insomma, i Red Hot Chili Peppers, come tutti i grandi gruppi di successo, hanno raggiunto un punto di equilibrio, una loro identità ben definita da cui cercano di non deviare più di tanto, e “Stadium arcadium” ne è la migliore dimostrazione possibile.