Björk - HOMOGENIC - la recensione

Recensione del 01 gen 1998

Bjork torna a casa, verso i deserti di ghiaccio dell’Islanda. Forse per eliminare le scorie e le nevrosi accumulate in questi anni frenetici vissuti sotto le lenti implacabili dei mass media, come lei stessa sembra suggerire nelle più recenti interviste. E così, nel suo nuovo percorso, il pop sghembo dei Sugarcubes, l’esuberanza sfrenata di "Violently happy", i ritmi da club disco metropolitana restano appena percettibili sullo sfondo. "Homogenic" suona piuttosto come una grande sinfonia scandinava, solenne come una "Fingal’s Cave" elettronica. Ha il respiro lento delle terre artiche, ma nasconde una forza sotterranea e misteriosa: perché anche nella apparente immobilità di queste musiche, come nelle epopee cinematografiche di Lars Von Trier, scalpitano passioni spesso travolgenti, incontrollabili.

Percussioni ed elettronica restano al centro della scena, insieme alle orchestrazioni lussureggianti di Eumir Deodato, vera cifra stilistica del disco. Ma oggi sono come risucchiate nel corpo delle canzoni, gorgoglii che ribollono e brontolano sotto la superficie, smottamenti e vibrazioni che scuotono improvvisamente l’impalcatura armonica delle canzoni. Il brano pubblicato come singolo, "Joga", e le straordinarie immagini in computer grafica del videoclip che lo accompagna, sono in questo senso esemplari. Riproducono in vitro, con ostentata artificialità, un paesaggio minaccioso e maestoso, attraversato da fiordi, crateri, corsi d’acqua impetuosi, orridi e voragini: la trasposizione in musica di questa emozione è una ballata dai colori forti e drammatici, con gli archi che attraversano la canzone come un vento sferzante, i tamburi marziali, la voce di Bjork in bilico tra fuoco e ghiaccio. Un biglietto da visita significativo per il disco più intimista e più maturo della singolare songwriter, nel’occasione affiancata alla console da esperti guastatori sonori come Mark Bell, Guy Sigsworth e Howie B.

Nonostante l’approccio meditato e riflessivo alla composizione, a dispetto dell’ispirazione "naturalistica" di molte canzoni, non c’è nulla di più lontano, qui, dall’estetica New Age, da una riproduzione calligrafica e stucchevole della musica per "grandi spazi". Tutto invece è manipolato, stravolto e filtrato dalle macchine, dall’intelligenza e dall’eclettismo dei musicisti: e così non stupisce più di tanto trovare un fisarmonicista dal nome giapponese, l’ottetto d’archi d’Islanda e gli organi a canne accoppiati senza stridore ai programmatori e alle drum machine. Elementi che, come suggerisce il titolo dell’album, si integrano nella circostanza in un tessuto omogeneo, dalle maglie allentate, in un suono alieno e ancora oggi spiazzante che appartiene soltanto all’autrice, una delle poche voci in controcanto nello stuolo di ragazze con la chitarra calate in massa, negli ultimi anni, negli uffici delle case discografiche. Chi se la sente di affrontare con pazienza il percorso tortuoso di un disco tutt’altro che facile all’ascolto, non rimarrà deluso: "Hunter", in apertura, è un suggestivo bolero danzato elegantemente fra i ghiacci; "Immature" una ipnotica immersione in un universo liquido e accogliente;"All neon like" pulsa come un geyser o una galassia luminosa.

Benché caratterizzato da un "suono" inconfondibile e da ritmi generalmente rallentati, "Homogenic" non è però un album monocromatico, non procede tutto allo stesso passo. "Unravel" (quasi una piccola piece cameristica introdotta da un sax notturno) e "Bachelorette" (melodramma dal sapore vagamente latino) contrastano con la serrata marcia elettronica e i ruvidi scratch di "5 years" così come con i ritmi sincopati di "Alarm call", uno dei pochi episodi destinati ad atterrare sulle piste da ballo. Mentre nella sequenza finale che contrappone l’implacabile techno post-Prodigy di "Pluto" a"All is full of love", una struggente e rarefatta riflessione sul tema dell’amore non ricambiato, sta forse l’indizio delle prossime mosse della energica vocalist islandes. Come dire che le due anime di Bjork continuano a coesistere. E che se questa volta è la chanteuse romantica e passionale a prendere il sopravvento in un disco bellissimo, in futuro potrebbe toccare di nuovo alla selvaggia regina dei dancefloor di tendenza. (am)

Vai alle recensioni di Rockol

rockol.it

Rockol.com s.r.l. - P.IVA: 12954150152
© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Privacy policy

Rock Online Italia è una testata registrata presso il Tribunale di Milano: Aut. n° 33 del 22 gennaio 1996