“In fondo al blu” è un album dalla produzione curata e raffinata, attenta ai dettagli, in cui si prediligono atmosfere semiacustiche e arrangiamenti in cui convivono archi e campionamenti. Un percorso impegnato e impegnativo che è la naturale prosecuzione della partecipazione l’estate scorsa alla prima edizione del Festival Teatro Canzone Giorgio Gaber di Viareggio. E non a caso l’album sarà accompagnato dal tour teatrale “Illusi d’esistenza” (con la regia di Roberto Citran, a cui nell’album sono affidati i commenti parlati della gaberiana “Sbarre sui denti”), che riproporrà proprio la formula del teatro-canzone, ossia alternanza di monologhi e brani musicali. Ma il Signor G non è l’unico punto di riferimento: Casale si appropria e fa sua anche la lezione di Fabrizio De André, Luigi Tenco, Ivano Fossati, Leonard Cohen, assieme alla desolazione di Nick Drake che affiora di tanto in tanto. Il nuovo corso cantautorale è annunciato dalle dolenti armonie di “Marina Elisa”, dedicata alla madre scomparsa recentemente, ma anche dall’onestà intellettuale proclamata in “So che non so”, cui fa da contraltare il sarcasmo di “Parassita intellettuale” (con la partecipazione dei Grey, giovane band prodotta da Casale; in altri brani intervengono anche Abe Salvadori e Nicola Ghedin degli Estra).
I momenti migliori sono la bossanova del singolo “L’uomo col futuro di dietro”, l’incedere subacqueo della title-track, la negazione di una quotidianità virtuale e surrogata di “Vivacchio”, le trame sinfoniche di “Dovrei” e “Cara giovane vergine che mi parli di suicidio” (titolo alla Wertmuller), ispirata alla letteratura di Pavese, la colonizzazione americana di “All I want to be” (in cui vengono tirati in ballo Virginia Woolf e Tom Waits) e la ghost-track “Il caso di uno vicino a se stesso”, in cui Casale torna rocker.
Un album corposo e denso, che apre nuovi percorsi compositivi al Casale solista. Oppure si potrebbe pensarlo come un approccio col quale rilanciare la vena creativa degli Estra.