Insomma, per quanto facciano di tutto per dimostrare il contrario, i White Stripes sono un puro prodotto del music business del nostro tempo. Con questo nuovo disco, “Get behind me satan”, hanno adottato la stessa strategia di sempre: niente interviste, niente CD promozionali ai giornalisti (il disco è stato mandato solo in vinile ai media). Nulla di male, per carità: ogni tanto i giornalisti i dischi possono anche comprarseli. Se non fosse che si ha la sensazione che, nel caso dei White Stripes, la fama e le strategie siano più importanti della musica.
Sensazione confermata dall’ascolto di questo disco. Come al solito, è stato registrato rigorosamente con strumenti analogici. La novità (presunta) è nella formula: è stato composto e suonato principalmente su piano, chitarre acustiche e marimba. Ma alla fine il risultato non cambia: un rock retrò volutamente “sporco” e diretto. Sentite il singolo “Blue orchid” e ve ne renderete conto.
Oppure cambia molto poco, dando alla musica del gruppo un tono un po’ più dimesso e intimista e meno aggressivo del solito. Il gioco funziona solo quando la strumentazione minimale dei White Stripes si ritrova ad eseguire canzoni degne di questo nome. Jack White le sa scrivere, eccome: il bozzetto acustico “Little ghost”, o le divertenti e stralunate “My doorbell” e “Forever for her”: queste sì un po’ diverse dal solito, almeno nei suoni.
lo spirito della band, quello non cambia, qualunque cosa decidano di suonare. A meno che un giorno non decidano di fare un disco con orchestra o iper-suonato e iper-prodotto (non si sa mai), i White Stripes – e questo disco non fa eccezione, anzi conferma l’ipotesi - hanno la vera forza musicale in quell’attitudine retro e grezza, che può far della loro musica un vero toccasana in questi tempi musicalmente ipertecnologici.