Umberto Tozzi - LE PAROLE - la recensione

Recensione del 22 mag 2005 a cura di Paola Maraone

Intanto va detto: a uno che ha la responsabilità di “Gloria”, “Gli altri siamo noi” e “Ti amo” si deve rispetto, a prescindere da tutto il resto. Il che però è anche un’arma a doppio taglio: perché, da che mondo e mondo, dal genio della classe ci si aspetta sempre moltissimo. E quindi da un mister Numero Uno come Umberto Tozzi, in pista dal 1971 – in quell’anno vinse come autore Canzonissima, con il brano “Un corpo un’anima”, da lui scritta con Damiano Dattoli e interpretata da Wess con Dori Ghezzi – si vuole il meglio che ci sia sulla piazza, altrimenti niente.

Succede così che brani più che dignitosi in senso assoluto, come “Le parole”, vengano stroncati a Sanremo per il solo fatto di essere interpretati da “uno come Tozzi”. Che insomma si pensa potrebbe, dovrebbe fare di più.
In realtà, né “Le parole” inteso come brano, né l’album che porta lo stesso titolo sono spregevoli. Anzi. Nel disco, 12 brani in tutto, ci sono tre o quattro pezzi davvero interessanti: oltre a quello sanremese, diremmo senz’altro “Anch’io in Paradiso”, “Schiuma”, “Grande cuore”: melodie à la Tozzi, ma con una marcia in più. Pezzi che non tradiscono le buone, vecchie abitudini, ma in cui si respira una certa (insperabile?) freschezza. Merito – anche - della gran cura con cui è composto l’album, certo; gli arrangiamenti sono opera di Greg Mathieson (autore anche di “Barbarella”, il brano strumentale che chiude il disco) e di Tozzi, i musicisti sono grandi professionisti (Abraham Laboriel Jr. alla batteria, suo padre Laboriel Sr. al basso, Michael Thompson alle chitarre, Luis Conte alle percussioni, lo stesso Mathieson alle tastiere, Erik Marienthal e David Woodford al sax, Lee Thomberg alla tromba, Raffaele Chiatto alla chitarra): una vera e propria orchestrina pronta a dar manforte all’ugola di Tozzi in qualunque momento – non che ce ne sia bisogno, considerato che la sua voce è potente come non mai.

Ciò detto: “Le parole” resta un album di impianto tradizionale, melodico molto, confortante quasi sempre, sorprendente forse mai – e forse anche questo ci si aspettava da Tozzi 2005: qualche sorpresa in più. Ma perché, poi? Del resto non è un mistero che in Francia e Spagna lui ancora trionfi con grandi classici come “Ti amo” e “Tu”. E se suonasse come i Verdena (o anche come Renga, se è per questo) non sarebbe Tozzi. Certo: noi comunque lo preferiamo quando azzarda un po’ (come in “Anch’io in Paradiso”), e quando si sforza di non essere troppo prevedibile. Per il resto, nulla da eccepire.

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