In sostanza, facendo filosofia spicciola, la teoria sostiene che gli eventi hanno un andamento fatto di alti e bassi, circolare e tutto sommato prevedibile. Applicata alla musica, questa teoria si traduce in una tendenza degli artisti a stabilire uno stile, abbandonarlo e ritornarci, abbandonarlo e ritornarci.
Chiamatela irrequietezza artistica, chiamatela come volete, ma non si contano più i gruppi che ottengono successo con un suono, lo abbandonano (spesso con insuccesso) e poi ci ritornano come dei figlioli prodighi.
Jon Spencer ne è l’ennesima dimsostrazione. Il suo blues post-moderno - un taglia e incolla di chitarre lancinanti, attittudine rock ‘n’ roll e ritmi e suoni derivati dall’elettronica - ha fatto scuola, giungendo al suo apice con “Acme” e con il disco di remix “Acme plus”. L’ultimo “Plastic fang” era un album di rock ‘n’ roll , ripulito da molti degli elementi chiave del suono del combo formato insieme a Judah Bauer (chitarra) e Russell Simins (batteria). Anche per questo si era attirato non poche critiche.
Cosa fa il Nostro, allora? Ripulisce il nome (sulla copertina di “Damage” si legge solo “Blues explosion”, ma la formazione non cambia) e torna a sporcare il suono. “Damage” così diventa un piccolo bignami di questo gruppo. C’è l’elettronica della title track e quella di “Fed up and low down” (prodotta da DJ Shadow). C’è il rock autoreferenziale di “Help this blues” (“We’re the blues explosion and we wanna play some rock ‘n’ roll”), e lo strumentale quasi surf “Rivals”. C’è persino Chuck D dei Public Enemy nella funkeggiante “Hot gossip”. Insomma c’è tutto il campionario di un gruppo che ha saputo rivitalizzare e modernizzare un genere con grande capacità artistica (non c’è che dire, questi tre suonano come dei matti. Non è un caso che persino Tom Waits in una recente apparizione televisiva si sia fatto accompagnare da loro…). Un artista dotato anche di astuzia e paraculaggine, perché ha saputo rendere “trendy” una musica considerata da vecchietti.
“Damage” è un ottimo punto di partenza per scopire questo nome, e lo è molto di più di “Plastic fang”, che rischiava di essere un semplice esercizio di stile – per quanto piacevole. Per gli altri, per quelli che già conoscono questi suoni, un ritorno alle forma migliore.
(Gianni Sibilla) .