Ma veniamo ai contenuti del disco. Innanzitutto bisogna dire che si tratta di versioni non stravolte, anzi, l’originale è riproposto con fedeltà (tranne qua e là qualche sovraincisione o effetto della voce in più). Il passaggio dall’italiano all’inglese conserva la stessa metrica, in modo che le linee melodiche non vengano intaccate. E anche il significato letterario rimane spesso identico (con qualche piccola evoluzione, ad esempio “Nel mio giardino” diventa “Yesterday’s film”). I momenti migliori sono l’apertura di “Ultramarine” (“In fondo al mare”), “Milly’s song” (dedicata alla figlia di Moor), che in inglese sembra davvero uscire da un musical, e - decisamente più incisive che in italiano, data la loro natura rock – “The Truman Show” e “Triathlon” (nella versione remix di Samuel dei Subsonica). “Give it back” era già in inglese in “Dove sei tu”. E anche se in “Invisible girl” Cristina canta “he don’t see you” (conosciamo i pregiudizi che godono gli italiani all’estero e forse uno scolastico “he doesn’t” poteva anche starci), il suo inglese è meno improvvisato e più colto di quello di Elisa. Ma alcune canzoni perdono un po’ di quel fascino che la nostra lingua possiede, spersonalizzate di fronte al servilismo linguistico, come in “Wherever find you” e “One perfect day”.
I fan della prima ora avrebbero forse gradito che la Donà pescasse anche dai primi due album le canzoni da “tradurre”? Si poteva aspettare un nuovo repertorio composto ad hoc invece di mettere mano su materiale già pubblicato? In ogni caso, l’album dimostra come la scelta dell’inglese sia una necessità per rendersi più fruibile agli occhi del mercato internazionale, piuttosto che un ambizioso capriccio artistico.