Fastball - ALL THE PAIN MONEY CAN BUY - la recensione

Recensione del 28 lug 1998

Questo è un disco rock. Lo diciamo con cautela, perché mette persino un po’ di soggezione, questo animale di un’altra era geologica, capitato per caso in questi tempi sofisticati. Pure, questi ragazzi sono cresciuti a Tom Petty e John Cougar, anche se non sono così fessi da rifarli, o da utilizzare un linguaggio rock che nessuno parla più. No, il fatto incredibile è che i tre Fastball suonano un rock americano onesto e moderno (per fortuna), con notevole personalità, e soprattutto con una inedita dignità che il rock di fine decennio non ritiene più di avere, impegnato com’è a dibattersi nella propria agonia. Provate ad ascoltare questo disco, e vi troverete scaraventati nella stessa America dei Creedence e di Roy Orbison: quella delle "Nowhere roads" e delle piccole città di provincia (come "Sweetwater, Texas", pezzo conclusivo dell’album). E il tutto con continuità coi "Good old days", come se certi scossoni non avessero provocato il declino del genere - divenuto "classico", e tale rock si fosse lentamente evoluto invece che ripiegarsi piagnucolando sulle proprie radici. Questo disco è una delle possibili risposte sul futuro del mainstream rock americano. E dall’imprevedibile, lusinghiero successo che "The way" sta avendo per radio, sembrerebbe che molti fossero in attesa di tale risposta.

Tracklist:

  • The way
  • Fire escape
  • Better than it was
  • Which way to the top?
  • Sooner or later
  • Warm fuzzy feeling
  • Slow drag
  • G.o.d. (Good old days)
  • Charlie, the methadone man
  • Out of my head
  • Damaged goods
  • Nowhere road
  • Sweetwater, Texas

Vai alle recensioni di Rockol

rockol.it

Rockol.com s.r.l. - P.IVA: 12954150152
© 2025 Riproduzione riservata. Rockol.com S.r.l.
Privacy policy

Rock Online Italia è una testata registrata presso il Tribunale di Milano: Aut. n° 33 del 22 gennaio 1996