Secondo problema: Morgan sostiene di aver costruito il lavoro in "due zone diverse da rappresentare musicalmente, un 'sottosuolo' e un 'sopra-suolo'". Ah, ecco. Se ho ben compreso il resto della spiegazione, il "sottosuolo" si riduce ai quattro brani intitolati "Drone", che sono più o meno esattamente quello che promette il titolo. Il resto sono temi strumentali per piano e orchestra (simulata grazie alla tecnologia). La loro relazione col "sopra-suolo" mi sfugge completamente.
Terzo problema: l'ascolto mi fa tornare dritto al punto di partenza. I brani reclamano delle immagini a cui fare da supporto. Si tratta di pezzi in gran parte corti e costruiti con una certa economia di materiale. L'atmosfera dominante è cupa e sinistra, e in effetti il disco funziona bene se ci si mette rilassati e mentalmente si gira un film immaginario. Forse non è un male non essere vincolati al film.
“Il suono delle vanità” può aprire a Morgan una possibile strada al di fuori della canzone. Ha le capacità necessarie (come dimostrano ad esempio il “Tema di Lucia” e “Il valzer del camerino”), e l’ambizione non gli è mai mancata. Quanto al Morgan “normale”, qui si accontenta di chiudere l’album con “Una storia d’amore e di vanità”, un buon esempio delle sue capacità di costruire armonie elaborate e per niente scontate. Se siete interessati al protagonista, non è un acquisto inutile, purché non vi aspettiate di comprare un album pop. Chi ha visto il film, potrebbe magari farmi sapere se vale la pena di recuperarlo.