Alarm - IN THE POPPY FIELDS - la recensione

Recensione del 29 apr 2004

La musica è fatta anche di storie come queste: gli Alarm nascono negli anni ’80 in Galles e subito diventano della specie di “fratelli sfigati” degli U2. Hanno la stessa carica, lo stesso pathos, ma meno capacità e un’immagine decisamente meno accattivante. Risultato: non sfondano mai, a parte qualche effimero successo, e finiscono per venire bollati dai media come una band minore e un po’ caciarona. Si sciolgono nei primi anni ’90 – quando il loro leader Mike Peters tenta la carriera solista - ma conservano un fedele zoccolo duro di fan, che periodicamente si ritrova in Galles. Peters continua a gestire la baracca Alarm curando da indipendente ripubblicazioni e inediti. Qualche anno fa, insieme a nuovi compagni, rispolvera il marchio e il suono del gruppo. Nel 2003 pubblica “In the poppy fields”, 5 dischi di materiale inedito – il primo in oltre 10 anni – venduto attraverso il sito www.thealarm.com. Tanta attenzione dai fan, ma nessuna attenzione dai media. Allora si inventa questo espediente. Sotto lo pseudonimo “Poppyfields” pubblica un singolo, il punkeggiante “45 R.P.M.” , e lo accompagna con un video in cui a cantare in playback sono i Wayriders di Chester, gruppo di giovanotti. Insomma fa credere a tutti che sia il singolo di una giovane, promettente (e inesistente) band. Risultato: la canzone entra nei top 30 inglesi (vedi news).

La tesi è ovvia, ma non facile da scardinare: ai media musicali interessa la carne fresca. Sull’onda di questo esperimento mediatico, gli Alarm hanno ritrovato un po’ di visibilità e pubblicano (anche in America) questo “In the poppy fields”, che è una sorta riassunto di quei 5 dischi citati prima, e di cui Rockol aveva recensito il primo volume “Close” nel gennaio 2003. Di quel disco qua sono presenti tre canzoni (anche se in una versione diversa): “Close”, e “The rock and roll” e “Right back where I started from”.
Per il resto non molto è cambiato da quando quel disco venne recensito. Il suono è lo stesso di quel disco, e quello degli Alarm “storici”: rock epico, tra schitarrate che citano (gli Who in “The drunk and the disorderly”) e autocitano (un paio di passaggi della stessa canzone ricordano pericolosamente “68 guns”, inno del gruppo), a cui si alternano ballate altrettanto corali come “The Rock and roll” o “The unexplained”, il tutto condito da una voce che ha sempre ricordato e continua a ricordare quella del primo Bono. Insomma, un genere schietto e un po’ demodé, che piace perché è tutto fuorché snob, anzi può piacere (e, allo stesso tempo, infastidire) perché è già sentito.

Onore al merito a Peters, che a oltre 20 anni dai suoi esordi continua a scrivere e cantare con la stessa convinzione e intensità. Onore anche all’operazione che ha messo in piedi, e alla meritata visibilità che gli ha procurato. Gli Alarm se la meritano tutta, alla faccia dei palati fini e dei modaioli che continuano a pompare l’ultima band di ragazzetti.

(Gianni Sibilla)

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