La tesi è ovvia, ma non facile da scardinare: ai media musicali interessa la carne fresca. Sull’onda di questo esperimento mediatico, gli Alarm hanno ritrovato un po’ di visibilità e pubblicano (anche in America) questo “In the poppy fields”, che è una sorta riassunto di quei 5 dischi citati prima, e di cui Rockol aveva recensito il primo volume “Close” nel gennaio 2003. Di quel disco qua sono presenti tre canzoni (anche se in una versione diversa): “Close”, e “The rock and roll” e “Right back where I started from”.
Per il resto non molto è cambiato da quando quel disco venne recensito. Il suono è lo stesso di quel disco, e quello degli Alarm “storici”: rock epico, tra schitarrate che citano (gli Who in “The drunk and the disorderly”) e autocitano (un paio di passaggi della stessa canzone ricordano pericolosamente “68 guns”, inno del gruppo), a cui si alternano ballate altrettanto corali come “The Rock and roll” o “The unexplained”, il tutto condito da una voce che ha sempre ricordato e continua a ricordare quella del primo Bono. Insomma, un genere schietto e un po’ demodé, che piace perché è tutto fuorché snob, anzi può piacere (e, allo stesso tempo, infastidire) perché è già sentito.
Onore al merito a Peters, che a oltre 20 anni dai suoi esordi continua a scrivere e cantare con la stessa convinzione e intensità. Onore anche all’operazione che ha messo in piedi, e alla meritata visibilità che gli ha procurato. Gli Alarm se la meritano tutta, alla faccia dei palati fini e dei modaioli che continuano a pompare l’ultima band di ragazzetti.
(Gianni Sibilla)
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