Il testo lineare e pulito contrasta, stride (e anche questo è un pregio) con una modalità di canto stralunata e sensuale. E così è anche il resto del disco.
Una come Amalia, interrogata al riguardo, sorride e si schermisce: le viene naturale. Questa ragazza grande, che ha il coraggio di debuttare all’età in cui (molte) altre si ritirano, cura personalmente gli arrangiamenti delle sue canzoni. Li coccola come fossero sul serio sue creature, suoi figli. E di una come Amalia questo si può dire: che ha, a differenza di (molte) altre, un approccio serio , ragionato, meditato alla musica. Il che non significa affatto che non sia un’istintiva, che non pensi – a volte – anche con la pancia.
Non capite? La cosa più facile è ascoltare il disco. Amalia ha un talento tutto suo nel raccontare le cose di traverso , nell’affrontare temi tipici del pop, del jazz, del crossover tra i due in modo da scompaginare, sconvolgere, scomporre la struttura standard. Per poi ricomporla, ma nella maniera che nessuno si aspetterebbe. Prendete per esempio le cover: “Do you know where you’re going to?” era un famoso brano di Diana Ross, qui viene storpiato e dilaniato, e poi reso – se possibile – ancora più adorabile dell’originale. Oppure “Estate”, che fu di Bruno Martino: sulle prime è irriconoscibile, eppure è identica a se stessa nell’ossatura, nel profondo.
Chi altro è capace di fare lo stesso, in Italia?
Certo, una come Amalia potreste anche odiarla. Proprio per quel suo modo di essere storta, sempre di profilo rispetto alle cose: per principio spettinata, eppure precisissima e capace di ragionare per ore su una nota.
Una come Amalia, alcuni la chiamano “la stordita”, per il suo modo sbilenco di cantare. Una come Amalia però se ne frega, e spiega che il suo disco è come un palazzo: all’ingresso ci sono le sue canzoni-biglietto da visita, “Cuore pallido” e “Io cammino di notte da sola”. Al primo piano pezzi come “Sogno”, “Indaco”, solari, creativi, mediterranei. Al secondo canzoni più riflessive, come “Profondo”.
E va bene. A una come Amalia, quando parla si può anche non dar retta, ma quando canta bisognerebbe proprio ascoltarla.
Una come Amalia, quelli che non la chiamano “la stordita” la paragonano a Mina. Lei - di nuovo - sorride, è felice: proprio in questo, sperava. Il suo disco finisce con “I need a crown”: a noi, che nonostante le apparenze non l’abbiamo mai incontrata, viene in mente l’immagine di lei che si allontana, masticando una canzone tra i denti.