Le canzoni di questo album sembrano arrivare da un altro mondo, forse perché è lui – Ramberti – che viene da un altro mondo, se “altro” lo si interpreta come “diverso” dal solito. Non arriva molto dalle Marche, infatti, ma quel poco ha un talento rustico e incontaminato proprio di gente lontana dal Grande Network Nazionale: è musica che gioca con la notte e le stelle, con le serate d’estate passate all’aperto e le lunghe ore buie d’inverno dietro ai vetri di una finestra, di casa o di un bar. Si parla, solitamente, in questi posti, e si guarda la televisione insieme. Per riderne magari, ma senza subirla, senza essere schiavi di quello che dicono debba interessarci. Rimane più spazio per le persone, per gli sguardi diretti, e per i silenzi che dicono più di tante parole.
Ecco, non so perché, ma il disco di Antonio Ramberti fa venire in mente questo mondo qui, per molti passato, per altri perduto. Regala canzoni che hanno forza e una personalità che ammalia, seppure mitigata, a momenti, da un’ingenuità ancora troppo evidente. Ma la poesia c’è, e la capacità di saperla riconoscere pure. Ascoltatevi il brano che da il titolo all’album, una ballad perfetta con un finale in crescendo davvero trascinante; oppure il similtango di “Cosa resta di noi”, il cabaret di “Renato”, e brani come “Mario”, “L’omino col cappello” e “Lo spaventapasseri innamorato”, canzoni che hanno ognuna un suo mondo musicale e ritmico di riferimento: Antonio Ramberti gioca con la musica, la mescola, la forgia, e dove non arriva inventa. Pubblicato dalla nuova etichetta della CNI, la Masaboba, “Il treno sotto al mare” è un bel regalo alla nostra canzone d’autore proprio in un momento troppo spesso si associa la crisi dell’industria a quella della musica. Niente di più sbagliato: la buona musica c’è, ed è tanta. Si tratta solo di avere ancora voglia di andarla a cercare. E di ascoltarla con il cuore.