Con invidiabile senso del marketing - ma anche, in definitiva, per dare a Cesare quel che è di Cesare e a se stesso ciò che gli spetta -, Cacciapaglia ha deciso di attribuirsi il vecchio ellepi uscito a nome e col titolo di Ann Steel, una cantante di Boston giunta in Italia nel ’79 (l’anno di uscita del disco) con un master dell’Università del Michigan in musica rinascimentale e medioevale. Ma ecco come sono andate le cose: nel 2002 l’etichetta parigina Colette inserì in una doppia compilation - intitolata “Colette n° 4”, comprendeva, fra gli altri, pezzi di Peaches, Rapture e Primal Scream - “My time”, il brano che originariamente apriva la seconda facciata del 33 giri di Ann Steel (non chiedetevi dove accipicchia l’avessero ascoltato Michel Gaubert & Marie Branellec, estensori della raccolta, che l’avrebbero poi chiesto e ottenuto dal musicista milanese).
L’interesse per quella canzone - uno spigliato poppettino tecnologico un po’ alla Sparks - ha acceso una lampadina nel vulcanico tastierista e compositore, che dopo un relativo periodo di bonaccia aveva pubblicato a febbraio 2003 “Tempus fugit” (Bmg/Rca), un album di musica sacra per pianoforte, voce, violoncello e postazioni elettroniche (per Recording Arts sono invece usciti “Sonanze/Sonances & other works”, lussureggiante versione del “Sonanze” già ristampato dalla Ducale, “Sei note in logica/Six Notes” e “Generazioni del cielo/Generations of the sky”).
Detto e fatto: il disco - a suo tempo mixato ai Town House Studios di Londra - è stato remissato in digitale; agli otto brani dell’album, aperto nella versione su cd proprio da “My time”, sono stati aggiunti “Media” e “Sweet life”, in precedenza usciti su singolo. La particolarità dell’album sta nell’essere stato realizzato con strumenti acustici mascherati da elettronici: le linee di basso sono eseguite al pianoforte preparato, il suono metallico delle percussioni è dato da catene che sfiorano le corde del piano (ma c’è anche la batteria, suonata da Bae-Pae Shu-To, che sarebbe poi Beppe Sciuto; gli altri musicisti - oltre a Cacciapaglia, - sono Franco Leprino e Pierangelo Gelmini), mentre molte parti di chitarra sono incise a bassa velocità, quando i nastri non girano al contrario. Quanto a Roberto, si è seduto all’amato pianoforte, al clavicembalo filtrato e all’organo portativo, un organetto che ha avuto la massima diffusione in tutta Europa nei secoli XIII-XV.
Ricordato che i testi dell’album (dedicato alla vita e alle opere di Guglielmo Marconi, anzi, “Dedicated to the life and work of Guglielmo Marconi”) sono di Giada Manca di Villahermosa, moglie di Cacciapaglia, la quale scelse di “ironizzare su un mondo artificiale, condizionato e totalmente incosciente” (ma quel ’79 sembra oggi, un oggi qualsiasi), last-but-not-least occupiamoci ora di Ann Steel, declassata da titolare del vecchio disco a voce del nuovo progetto.
Roberto ha sempre avuto un debole per le ugole femminili: ha lavorato con e per Roberta D’Angelo e Gianna Nannini, Giuni Russo e Alice (se vogliamo considerarla una cantante, ci sarebbe pure Amanda Lear). La Steel è la bellissima ragazza che nelle foto del booklet salta leggiadra e si arrampica sulle guglie del Duomo di Milano; modella e attrice con un’esperienza nel Living Theatre di Julien Beck, fu scelta dopo una lunga ricerca: a Cacciapaglia piacque la sua voce “molto curata e lineare, con pochi vibrati”, esercitata cantando musica sacra nelle chiese americane.
Gradevole e divertente, moderno - non solo nei suoni - a dispetto dell’età, “The Ann Steel album” nulla toglie e nulla aggiunge alla biografia artistica di Roberto, ma rende giustizia e offre nuova visibilità a una delle tante “dark side” del suo lavoro. Quanto alla Steel, se ne sono perse le tracce. E così, per gioco, possiamo immaginare che non sia mai esistita.