Nonostante le cifre di vendita notevoli, i due mantengono quel tocco stiloso amato da chi segue la cosiddetta club culture. Per fortuna, non si limitano ad aderire all'estetica della musica da club ma hanno l'apprezzabile capacità di dotare i loro brani di "ganci" efficaci. “Lovebox” viene presentato come l'album più pop realizzato finora da Andy Cato e Tom Findlay e si mantiene fedele a questo assunto. Senza la pretesa di fissare le nuove coordinate sonore per il terzo millennio, i due allineano una bella serie di pezzi che hanno tutti i numeri per guadagnare spazio nelle programmazioni radiofoniche. Il funk è il punto di partenza ritmico fondamentale su cui Cato e Findlay innestano di volta in volta gli ingredienti che preferiscono. Così ci sono le chitarre rock di “Purple haze” (niente a che vedere con Hendrix, ma vengono campionati gli Status Quo) e “Madder” (rappata in modo convincente da M.A.D.), la disco di “Easy” e il tormentone caraibico di “But I feel good”. Da consumati esperti di suoni adatti alla chill-out room, Cato e Findlay dosano con ottimo senso della misura i momenti danzerecci con episodi più morbidi e giocano abilmente il jolly dell’ospite illustre in “Think twice”, che vede Neneh Cherry rinverdire più o meno i fasti di “7 seconds”, e “Hands of time”, che recupera il veterano Richie Havens con un appropriato Fender Rhodes ad accompagnarlo. La Cherry ricompare anche in “Groove is on” in duetto con Kriminul per un funk un po’ coatto ma che indubbiamente funziona. “Remember” riesuma la voce di Sandy Denny per un pezzo che magari farà storcere il naso ai vecchi fan dei Fairport Convention, ma ha una solennità malinconica che si fa apprezzare. Insomma, il gioco delle citazioni estrapolate dal contesto originario funziona e "Lovebox" scorre piacevole, senza battute a vuoto o momenti di noia. Un risultato forse deludente per chi è appassionato di azzardati esperimenti sampladelici (qui non ce ne sono) ma, alla fine, è esattamente quello che si chiede a un disco pop.
(Paolo Giovanazzi)