"Nextdoorland" mostra che il tempo trascorso non ha cambiato pressoché nulla nell'universo del gruppo. Il discorso riprende esattamente dal punto in cui lo aveva lasciato "Underwater moonlight" nel 1980: lo stesso suono, la nota ossessione per il rock degli anni '60 e il solito gusto per la canzone da tre minuti con occasionali sconfinamenti verso strutture più libere. Anche i riferimenti restano invariati, orgogliosamente rivendicati dal gruppo stesso: Byrds (costantemente presenti nelle corde della chitarra di Hitchcock), Beatles, Syd Barrett, Velvet Underground, un pizzico di Captain Beefheart nei momenti più eccentrici. In pratica, è più che mai chiaro che dai Soft Boys non ci si possono aspettare novità rivoluzionarie e che tenere il passo con la contemporaneità è un problema che non li sfiora minimamente. Hitchcock e soci restano felicemente fuori tempo, nel 2002 come nel 1978, indaffarati a coltivare un giardino dove crescono fiori belli e profumati come "Pulse of my heart", "Mr. Kennedy" e "Sudden town" e pianticelle contorte come "Strings". Chi conosce l'arte dei maestri giardinieri da cui i Soft Boys hanno imparato i trucchi del mestiere non farà fatica ad apprezzare anche gli allievi. A tutti gli altri, "Nextdoorland" sembrerà probabilmente un curioso manufatto indie-rock prodotto da strani personaggi, troppo attempati per calcare le scene dell'underground in modo credibile. Ma a volte, diceva il poeta, un vecchio demonio è meglio di un giovane dio.
(Paolo Giovanazzi)