Brian May - ANOTHER WORLD - la recensione
Recensione del 15 lug 1998
E' dura parlare di Brian May senza citare Freddie Mercury e i Queen.
Ma d'altra parte, è inevitabile. Anche perchè, sei anni dopo il primo disco solista di
May, uscito pochi mesi dopo la scomparsa di Freddie, questo doveva giungere a mente un po'
più serena. Invece la sfiga ha colpito ancora, questa volta portando il chitarrista al
funerale di Cozy Powell, che ha suonato la batteria in molti brani. Il tema del ricordo di
chi non c’è più peraltro corre parallelo anche in "All the way from
Memphis" (finalmente qualcuno che si ricorda dei Mott the Hoople). Insomma, il disco
di May porta con sé inscindibili connessioni e confronti col passato. Dal punto di vista
del proprio personale percorso musicale, in "Another world" il lungo ricciolone
mostra i suoi pregi e i suoi difetti, moltiplicati per 6 (come gli anni trascorsi). Nelle
composizioni chitarristiche dalla vena hard-rock, quella che lo rende un punto di
riferimento irrinunciabile per più di una generazione di axe-men, May si conferma
orgogliosamente l'uomo di "We will rock you", e regala bordate spettacolose, con
robuste trame ritmiche e assoli sui quali campeggia il suo marchio di fabbrica. Quando
invece si cimenta con le melodie, la sensazione, che del resto si aveva anche nel primo
album, in "Made in Heaven" così come nell'inedito di "Queen Rocks",
è che sullo spartito manchi (oltre alla voce, è chiaro) qualche arzigogolo decisivo che
ai tempi di "Love of my life" poteva arrivare dal tocco pianistico superiore di
Freddie. Un buon disco, ma manca qualcosa. Anzi, qualcuno.