A quanto sembra, così non è: in “Fly” ci sono dieci canzoni piuttosto prevedibili, e per descrivere l’album in tre parole si potrebbe dire: segni particolari, nessuno. Invariata la passione per le melodie che furono care all’Italia negli anni ‘70, invariata la tendenza alla romanticheria, anzi: se possibile, aggravate sia l’una che l’altra. Mancando il bassista, le melodie di “Fly” sono tutte opera del pianista Rossano, i testi tutti della cantante Simona (che però in “L’ultimo ballo” scrive anche la musica). Il problema resta lo stesso di un tempo: nel disco manca una direzione precisa, e chi proprio volesse individuare una linea di fondo potrebbe trovarla solo in una insistente, anacronistica, esagerata passione per la melodia. Che vince su tutto: Simona continua a divertirsi ad allungare le vocali e a trascinarle il più possibili, così per esempio in “L’amore che non aspetta mai” la parola “male” diventa “maaale”, “no” diventa “nooo”, “mai” si allunga addirittura in un “maaaaaaaaaaai” disperato e straziante.
Questa è musica davvero leggera, ragazzi. Se la capacità di suonare c’è, se ci sono voce ed esperienza, quello che manca è una struttura che regga il tutto: in breve, mancano le idee. Anche dopo dieci ascolti non un singolo brano rimane impresso sugli altri, e questo ci sembra un passo indietro rispetto al disco precedente. Non è nostra intenzione liquidare in poche righe un gruppo che lavora con serietà e impegno da anni: ma forse sarebbe il caso che i DSC si fermassero, si ripensassero (sul serio) e magari cominciassero a guardarsi attorno. Per cercare all’esterno (magari in un nuovo “compagno di strada”?) quegli stimoli e quell’impulso a rinnovarsi che, da soli, non sono ancora riusciti a trovare.
(Paola Maraone)