Per il resto si gioca in casa, e tutto sembra tornare come prima: formazione immutata dalla metà degli anni ’80 e nessun indizio evidente della terribile tragedia che ha colpito il vocalist/chitarrista Cesar Rosas, una moglie trucidata dal fratellastro ad inzaccherare le pagine di cronaca nera nell’autunno del ’99.
La rivendicazione delle radici è evidente fin dal titolo (Aztlán è l’Atlantide della mitologia azteca), e poi nei temi del disco: storie del border e di immigrazione dolente come “Tony y Maria”, Messico e California meridionale separate da un virtuale Muro di Berlino: una classica ballata alla Hidalgo-Perez, che come sempre preferiscono (fortunatamente) buttarla sul privato anziché sul politico. Ogni membro del quintetto ha spazio giusto per brillare: David Hidalgo si conferma eccellente narratore, sfoderando una voce white soul alla Steve Winwood e vibranti assoli latin blues in “Hearts of stone”. Rosas si produce nella sua specialità, menando le danze in cumbie da struscio come “Maria Christina” e lenti ultraromantici da balera come “Luz de mi vida” (cantata in Spanglish, la lingua meticcia che mescola parole inglesi e messicane). Louie Perez lascia lo sgabello da batterista ad illustri colleghi (Pete Thomas, Jerry Marotta, Victor Bisetti, il Cougar Estrada dei Los Superseven e dei Latin Playboys) per strimpellare la chitarra (e tre!) e dedicarsi al songwriting. I fendenti del basso di Conrad Lozano mettono il turbo a “Done gone blue”, uno di quegli sferraglianti boogie-blues elettrici per cui i cinque vanno giustamente famosi, e i sassofoni di Steve Berlin soffiano venti torridi e sensuali un po’ ovunque. Suoi anche i flauti fluttuanti di “Round & round”, il pezzo finale che tiene fede al suo titolo con un’ipnotica, liquida struttura circolare di tono vagamente psichedelico: una conclusione di gran classe e inattesa per un disco luminoso e colorato come la sua copertina. “Good morning Aztlán” non ha la giovane irruenza di “How will the wolf survive?” né la qualità di scrittura e gli arrangiamenti geniali di “Kiko” (ad oggi il loro capolavoro): ma semplificando le cose, i Lobos hanno fatto la scelta giusta per togliersi di dosso ruggini e cattivi pensieri.
(Alfredo Marziano)