Gabin - GABIN - la recensione

Recensione del 12 giu 2002 a cura di Gianni Sibilla

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, l’ultima moda del momento non è francese, ma italiana. I Gabin, per intenderci, sono quelli di “Doo uap, doo uap, doo uap”, programmatissima da radio e da uno spot televisivo. Canzone che richiama alla mente non solo Duke Ellington e l’era d’oro dello swing, abilmente rivisitati, ma anche i tentativi moderni di rivitalizzare il jazz. Quelli alla Koop o alla St. Germain, per intenderci. E se ci perdonate un gioco di parole suggeritoci proprio da loro (vedi news), sarebbe facile chiamarli “St. Gabin”.

Il duo romano ha le stesse origini: nasce dall’unione tra club culture (il DJ Filippo Clary) e atmosfere Jazz (il contrabbassista Max Bottini). Ma la direzione dei Gabin coincide solo parzialmente con quella presa da Ludovic Navarre. Certo, “Doo uap, doo uap, doo uap”, anche grazie allo stupendo intervento al sax del jazzista Stefano di Battista, ricorda le atmsofere sperimentate con successo proprio da Navarre. Ma nelle 12 tracce i Gabin hanno saputo sviluppare diversi percorsi, con eguale intensità. Dall’apertura e chiusura con “La maison”, che richiama temi più chill out, alle atmosfere tango/gitane di “Une histoire d’amour”, al dance-pop di “Mille et une nuit des desires”, in cui la voce di Ana Carril Obiols veine trattata con uno spruzzo di quel vocoder d’ordinanza per essere alla moda.
Insomma, i Gabin non sono una one-hit wonder. Il loro disco d’esordio è complesso, sfaccettato, forse un po’ disomogeneo nell’insieme ma comunque frutto di un’esperienza e di un lavoro non certo improvvisati. Unico dubbio: se i Gabin non vogliono essere i “St. Gabin”, se sono italiani, perché tutto questo uso del francese in nomi e titoli? Certo, il gruppo mira ad una dimensione internazionale che, non dubitiamo, sarà in grado di raggiungere. Ma c’era proprio bisogno di far finta di arrivare da oltralpe?


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