Dopo avere venduto oltre un milione e mezzo di dischi, molti dei quali del fortunato “Pennybridge pioneers”, l’unica alternativa possibile per evitare di restare invischiati nei clichè di band che ripete all’infinito la stessa canzoncina allegra, buona al massimo come colonna sonora per le vacanze estive di un quindicenne, era cambiare rotta. Mantenere salda la naturale freschezza del proprio suono pop punk, innestandolo però su elementi nuovi, anche se non necessariamente originali. Si sa, solo gente del calibro di Ramones o Bad Religion poteva e può permettersi di rifare lo stesso disco più di una volta senza suscitare giustificate critiche e ingenerosi rancori: loro hanno inventato un genere, a tutti gli altri tocca aguzzare l’ingegno, magari guardandosi alle spalle. Ecco dunque che la vera novità di “Home from home” è proprio la riscoperta del rock tout-court. La rivisitazione, in versione aggiornata, rivista e corretta, di elementi diversi dall’ormai sterotipato melodi-core californiano, pescati con intelligenza nel vasto calderone del rock’n’roll più ruvido ed energico. Il tutto amalgamato alla perfezione per creare un poliedrico miscocosmo cementato dal tipico suono alla Millencolin, divenuto ormai un marchio di fabbrica, con uno stile assolutamente personale e riconoscibile. In “Home from home”, titolo scelto non a caso per celebrare l’armonia e la coesione che, a detta degli stessi Millencolin, regna all’interno del gruppo, la band ha lavorato di cesello, costruendo canzoni “alla Millencolin” formalmente impeccabili. Poco importa se gli ingredienti base, a ben pensarci, sono già stati utilizzati in precedenza da decine di altre band: Nikola, Erik e compagni possiedono il raro dono di sapersi destreggiare con abilità tra le mille insidie del “già sentito”, grazie ad un songwriting misurato ed efficace, ma soprattutto personale. Il che non è poco quando si suona punk rock. E poi ci sono l’energia e la sensibilità squisita per le melodie, aspetti, questi ultimi, assolutamente imprescindibili in chi ha ambizioni pop e, pur volendosi scrollare di dosso l’etichetta di gruppo da teenager, non desidera perdere i vecchi fan. Insomma, l’ultima fatica di casa Millencolin è un esempio di straordinario equilibrismo, che si palesa già nella perfetta e incisiva apertura di “Man or mouse”, tre minuti secchi e tirati di esplosivo punk rock’n’roll, punteggiati da “yeah, yeah” irresistibili, seguiti, qualche traccia più in là, da una travolgente “Kemp” (così vicina ai canoni del nuovo rock’n’roll svedese di band come gli Hives) e dalla muscolosa “Greener grass”, spinta a pieno regime da un riff insolitamente granitico per la band di Örebro. Se la varietà e la ricerca di nuovi stimoli sono i punti di forza del disco, non mancano ritorni al recente passato con le contagiosissime “Botanic mistress”, “Punk rock rebel” e “Fuel to the flame” o con la conclusiva title track “Home from home”, pirotecnico duetto tra Nikola e Mårten Cedergran dei Bombshell Rocks, pezzi che ancora una volta strizzano l’occhio ai soliti Bad Religion, Nofx e Pennywise. Per dirla con le parole di una loro canzone, “Fingers crossed”, questo “Home from home” è una scommessa fatta a dita incrociate, il biglietto d’ingresso nell’olimpo delle stelle di prima grandezza: ora o mai più.
(Stefania V. De Lorenzi)