Sì, perché Bugo è “scalcagnato”, scrive brani grezzi e ruvidi, canta come gli viene, registra ancora più casualmente e racimola testi surreali e astrusi, ma, allo stesso tempo, le sue canzoni risultano semplici e, fattore più importante, restano.
Il sound è scarno, ma, a dispetto di alcuni artisti che ricamano fino alla nausea le proprie canzoni con infiniti orpelli e special guest, risulta essenziale e funzionale.
Alternandosi tra cantautorato alcolico e punk, Bugo racimola quelle che possono sembrare frasi messe a caso, ma, ad una più approfondita analisi, risultano storielle divertite e divertenti sulla semplice quotidianità, piccoli gioielli in metafora “corretti” con sprazzi di brillante ironia. Così succede con la squinternata frase ”metti la birra nel bicchiere, metti il bicchiere nella birra” o nei brani “L’occhio è lo specchio” e “Benzina mia” in cui il cantante parla del rapporto amore-odio che ha con il liquido in questione.
Insomma, Bugo c’è. Semplice, “terra-terra”, ma d’effetto. Maldestro, pazzo, zoppo, ubriaco, bolso e assonnato, ma capace di intuizioni musicali e verbali di candida bellezza. Insomma, quello che spiazza maggiormente nell’ascoltarlo è che ci si rende conto che potrebbe scrivere una hit usando come accompagnamento solo due cucchiai sbattuti sul ginocchio. Bugo ti lascia la netta sensazione che non vive per suonare, ma gli è solo capitato di farlo.
(Giuseppe Fabris)