Un dischetto equilibrato, dicevamo; rassicurante, e che suona qua e là fin troppo famigliare (“Drift and die” ricorda moltissimo gli Alice in Chains). Al punto che il tentativo dei Puddle of Mudd pare essere quello di conquistare il mondo senza fare male a nessuno, di allargare pian piano la cerchia dei propri fan senza sconvolgerli più di tanto, di mostrare le unghie ma dopo averle accuratamente limate. E questo modo di tenere il piede in due scarpe non giova poi molto alla fama di un gruppo.
Vero è che, dovendo descrivere se stessi, i quattro dichiarano di essere un “concentrato di energia ma anche di valori, di pensieri positivi, insospettabilmente gentili”. E si dicono consapevoli del fatto che “le canzoni hanno una grande forza, ma non possono rovesciare le sorti di un pianeta”. Questo spiega almeno in parte la sensazione di “talento trattenuto” che si ha ascoltando “Come clean”: sembra che il gruppo voglia mettersi in gioco, ma senza esagerare. Che giochi sull’unione del rock alla melodia (“Blurry”), ma senza voler troppo rischiare. Perciò, bando alle sperimentazioni: potrebbero essere pericolose, e allora tanto vale mettere in fila una nota, un riff, una strofa dopo l’altra in modo tale che tutto quadri. Per carità: meglio che nessuno si spaventi.