Puddle Of Mudd - COME CLEAN - la recensione

Recensione del 28 mar 2002 a cura di Paola Maraone

Un album che non ha nulla di terribile, ma che non ha neanche molto da aggiungere al fin troppo variegato mondo del rock (anzi, come va di moda dire, del nu-rock) americano. Il frontman del quartetto, Wes Scantlin, ha dalla sua una discreta dose di faccia tosta: morendo dalla voglia di farsi ascoltare da qualcuno, si procurò un finto pass per entrare nel back stage di un concerto dei Limp Bizkit. Fred Durst si innamorò della sua musica e gli permise, come nelle migliori favole, di realizzare il suo sogno e di pubblicare un album. Questo. Che è tutto sommato un dischetto equilibrato e coerente: la voce di Scantlin ricorda a tratti (spesso) il Kurt Cobain dei tempi d’oro, e persino la vecchia formula dei Nirvana (giocare con l’alternanza di “fortissimo” e “pianissimo”) qui rivive alla grande, per documentarvi provate ad ascoltare “Control”.

Un dischetto equilibrato, dicevamo; rassicurante, e che suona qua e là fin troppo famigliare (“Drift and die” ricorda moltissimo gli Alice in Chains). Al punto che il tentativo dei Puddle of Mudd pare essere quello di conquistare il mondo senza fare male a nessuno, di allargare pian piano la cerchia dei propri fan senza sconvolgerli più di tanto, di mostrare le unghie ma dopo averle accuratamente limate. E questo modo di tenere il piede in due scarpe non giova poi molto alla fama di un gruppo.
Vero è che, dovendo descrivere se stessi, i quattro dichiarano di essere un “concentrato di energia ma anche di valori, di pensieri positivi, insospettabilmente gentili”. E si dicono consapevoli del fatto che “le canzoni hanno una grande forza, ma non possono rovesciare le sorti di un pianeta”. Questo spiega almeno in parte la sensazione di “talento trattenuto” che si ha ascoltando “Come clean”: sembra che il gruppo voglia mettersi in gioco, ma senza esagerare. Che giochi sull’unione del rock alla melodia (“Blurry”), ma senza voler troppo rischiare. Perciò, bando alle sperimentazioni: potrebbero essere pericolose, e allora tanto vale mettere in fila una nota, un riff, una strofa dopo l’altra in modo tale che tutto quadri. Per carità: meglio che nessuno si spaventi.


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