“Unò, Dué” è un disco caotico, come caotica è sempre stata la musica di Daniele, e come lo è maggior ragione in questo momento: un patchwork di stili e influenze, filtrati attraverso una visione del mondo ironica e contemporaneamente incantanta. Questa volta la scelta è stata quella di insistere più sull’aspetto ritmico, come sottolinea anche il titolo dell’album, che sa molto di marcetta. Così diverse canzoni giocano con i ritmi della dance, di quella anni ’70 di “Salirò”, spesso unita all’ “Unz-unz” contemporaneo. In altri momenti, si torna alla forma ballata, come in “Sabbia e sandali”, o come nella già citata “Di padre in figlio”, o al rock di “Mi interessa”.
Forse “Unò, Dué” non è il miglior disco di Daniele: la maturità acquisita con gli anni, e ampiamente dimostrata in queste tracce, ha comportato un po’ di perdita di quella freschezza presente nei primi album. Però è un disco intelligente, pensato e pensante. Sarebbe bello che la visibilità ottenuta a Sanremo (il balletto-tamarro della serata finale verrà ricordato come uno dei momenti migliori di quest’anno) si concretizzasse in un successo più ampio di quanto è avvenuto in passato.