XTC - HOMEGROWN - la recensione

Recensione del 09 gen 2002

Buone notizie da Swindon, Inghilterra sudoccidentale. Gli artigiani del pop non hanno nessuna intenzione di chiudere bottega, a dispetto dei rapporti tutt’altro che idilliaci con i “mercanti della musica” (leggi case discografiche). Anzi: sempre più avulsi dai circuiti promozionali e commerciali del grande business, Andy Partridge e Colin Moulding, unici depositari rimasti del marchio di fabbrica XTC, hanno modo di indulgere in operazioni sfiziose e magari anche un po’ autoreferenziali come questa raccolta, fedele fotocopia in versione demo dell’ultimo disco “ufficiale” licenziato alle stampe dai due, “Wasp star (Apple venus vol. II)”. Esercizio non nuovo, d’altra parte, perché già messo in pratica in occasione dell’uscita del precedente “Apple venus vol. 1”, e come quello riservato soltanto ai fan di più stretta osservanza (ai quali chi scrive confessa di appartenere): solo loro, infatti, apprezzeranno appieno questo flashback sulla produzione più recente della pregiata coppia, alle prese con bozzetti e intuizioni di base poi trasformati in manufatti musicali ancora una volta e in gran maggioranza di squisita fattura.

Nel compilare le dettagliatissime annotazioni a margine contenute nel booklet del CD, Partridge ci mette la stessa cura maniacale con cui, probabilmente, dipinge e prepara gli scenari di battaglia degli amati soldatini di piombo o rispolvera la sua collezione di oscuri vinili degli anni ’60, regalando a chi ne abbia voglia la chance di ammirare, esposti in vetrina, i trucchi del mestiere e gli attrezzi di lavoro dei due abilissimi musicologi-musicisti. Ma come già accadeva con l’episodio precedente, ricercare differenze sostanziali tra versioni “demo” e finali somiglia a volte ad un gioco enigmistico di non facile soluzione: tanto da suscitare più di un dubbio sulla necessità di pubblicare “cloni” così simili agli originali, che da quelli si discostano solo per una provvisorietà che li rende, quasi giocoforza, di qualità inferiore. Semmai, il confronto con la copia “finita” permette di apprezzare le scelte di arrangiamento operate in sede di registrazione di “Wasp star”, quando Partridge e Moulding optarono per un suono elettrico ed asciutto assai funzionale alla stringatezza pop di canzoni che rimandano al primo periodo aureo della band, quello di “Black sea” e dintorni . Le poche novità di “Homegrown” si annidano in un paio di curiose riletture di “I’m the man who murdered love” (una, appena abbozzata, in tambureggiante stile Motown anni ’60, l’altra contraddistinta da accordature aperte di sapore folk), in una prova di “Standing in for Joe” cadenzata su ritmi jazz/lounge, in un bozzolo acustico di “Lie for a lie” (alias la splendida “Church of women”) che esplicita una volta di più la discendenza (spesso negata) del Partridge più melodico dalla scrittura beatlesiana, e in poco altro. Ma detto del carattere “accademico” e magari un po’ ridondante dell’operazione, c’è da sottolineare che per topi di studio come Partridge e Moulding “Homegrown” rappresenta comunque un’ennesima occasione per giganteggiare sul panorama pop contemporaneo: merito della scrittura brillante e della fresca ispirazione di canzoni come “Playground”, “Stupidly happy”, “Wounded horse” o “The wheel and the maypole” (una mini-suite di ispirazione folk qui replicata sotto diversi titoli), che si confermano, anche in versione “rough”, perfetti ingranaggi di orologeria musicale.


(Alfredo Marziano)

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