Nickelback - SILVER SIDE UP - la recensione

Recensione del 12 dic 2001 a cura di Diego Ancordi

Preceduto dal potente singolo “How you remind me”, esce “Silver side up”, secondo lavoro dei canadesi Nickelback dopo l’esordio dell’anno scorso intitolato “The State”. La filosofia del gruppo è spicciola, come afferma il chitarrista Ryan Peake: “Ci piace scrivere buone canzoni con buone melodie che si possano cantare ai nostri concerti e ricordare anche dopo”. A volte il quartetto ci riesce, come in “Woke up this morning”, “Too bad” o “Good times gone” (dove spicca la slide di Ian Thonley), a volte meno. I giornali americani hanno paragonato i Nickelback a gruppi come Helmet o Alice In Chains. In realtà Chad Kroeger, Ryan Peake, Mike Kroeger e Ryan Vikedal mischiano i canoni chitarristici dell’hard rock con una certa ricerca melodica e una moderna tendenza post-grunge, cercando a tratti una mediazione da FM americana. I risultati sono alterni ma nel complesso i quattro si fanno apprezzare, soprattutto grazie alla produzione di Rick Pharashar, già alla consolle con i Pearl Jam e con i Temple Of The Dog. “Silver side up”, registrato in sole cinque settimane, è stato poi mixato da Randy Staub (Metallica, U2). I suoni sono in effetti molto curati e i testi di Kroeger si sono fatti meno metaforici e più introspettivi, più vicini alla sfera personale del cantante/chitarrista, dalla voce abbastanza duttile che ricorda a tratti quella di Eddie Vedder, a tratti quella di David Coverdale. Nel prodotto non c’è grande originalità, ma “Silver side up”, sospeso tra “riffoni” hard e ballate mid-tempo, colpisce anche qualche bersaglio.


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