Adema - ADEMA - la recensione

Recensione del 12 gen 2002

I legami di parentela, nel rock come in qualunque altro campo, possono rivelarsi un efficace trampolino di lancio, ma qualche volta, se sbandierati con troppa veemenza, rischiano di trasformarsi in una pericolosa arma a doppio taglio. Indubbiamente il fatto che Mark Chavez, cantante degli Adema, sia il fratellastro minore nientemeno che di Jonathan Davis, leader maximo dei Korn e guru del movimento nu-metal, ha contribuito in maniera determinante a far uscire dall’anonimato alla velocità della luce il gruppo di Bakersfield, ma ha creato un clima di aspettativa tale che nemmeno la pubblicazione di un nuovo “Life is peachy” sarebbe riuscita a placare.

Al suo apparire “Adema”, l’omonimo debutto, ha suscitato reazioni contrapposte: da un lato c’è chi ha salutato il disco - forse un po’ troppo entusiasticamente e con qualche forzatura - come la nuova rivelazione del panorama nu-metal, dall’altro c’è chi lo ha accolto con un misto di pregiudizio e di malcelata irritazione, bollando Chavez e i suoi compagni come pedissequi imitatori e tardivi epigoni di un genere ormai logoro e privo di nuove idee. Ai sostenitori di entrambe le posizioni è però sfuggito il particolare che gli Adema, pur nutrendosi di generose ed evidentissime influenze nu-metal, sono senza dubbio più assimilabili a un solido alternative rock di matrice post-grunge che strizza l’occhio alle sonorità industriali piuttosto che al calderone nu-metal.
Il disco, fin dalle prime battute di “Everyone”, mette in luce una spiccata sensibilità per le melodie intense e sofferte dal retrogusto nirvaniano, sostenute da riff duri, pesanti e spigolosi e da una sezione ritmica compatta e potente, senza dimenticare un sottofondo venato di suggestioni che sembrano arrivare dritte dal periodo post new wave dei Depeche Mode e dalle geniali intuizioni prog metal dei Tool, come ben dimostra la torbida “Giving in”. La potenza e il ruvido e grezzo impatto del nu-metal tra Orgy, Korn e Limp Bizkit fanno la loro comparsa nella poderosa “Freaking out”, che trasferisce la profondità introspettiva del testo sulle note laceranti di un riff oscuro e marziale, reiterato con minacciosa precisione chirurgica. La successiva “The way you like it” spazia in modo non convenzionale nei territori dell’hip hop, spianando la strada alla melodia straziata di “Close friends” e alle ritmiche serrate, taglienti e aggressive di “Do what you want to do” e “Skin”. L’ombra di Linkin Park e Staind fa la sua comparsa in “Pain inside”, episodio che pur allentando la tensione a livello sonoro, la fa riesplodere a livello emotivo, sulle parole sofferte e sorprendentemente sincere di Chavez, la cui voce, benchè non originalissima, riesce a essere coinvolgente ed efficace. Il suono riesplode con inaudita e deflagrante potenza nell’asciutta e selvaggia “Drowing”, prima di congedarsi sulle note dense e ammalianti della conclusiva “Trust”.

Pur mancando all’appello delle nuove sensazioni del nu-metal, gli Adema si rivelano una concreta realtà dell’alternative heavy rock, forse non originalissima ma capace di regalare più di un’emozione e di farlo in modo sincero e credibile, senza troppi debiti di riconoscenza. In fondo non deve essere stato facile per il buon Mark Chavez crescere all’ombra di un ingombrante fratellastro come Jonathan Davis.

(Stefania V. De Lorenzi)

Tracklist

01. Everyone
02. Blow it away
03. Giving in
04. Freaking out
05. The way you like it
06. Close friends
07. Do what you want to do
08. Skin
09. Pain inside
10. Speculum
11. Drowing
12. Trust

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