Terence Trent D'Arby - WILD CARD - la recensione

Recensione del 24 nov 2001 a cura di Diego Ancordi

In molti ricorderanno senza sforzo “Introducing the hardline according to Terence Trent D’Arby”, chilometrico titolo di uno degli esordi più prolifici della storia del pop. Era il 1987 e l’artista di colore esplose come una bomba: l’album vendette 12 milioni di copie. I tre album successivi non ottennero tale successo e dalla metà degli anni ’90, il cantante fece sparire le proprie tracce fino ad oggi con la pubblicazione del suo nuovo lavoro “Wildcard”.

Ma che fine aveva fatto Terence Trent D’Arby ? Beh, è diventato Sananda Maitreya!
Già nel 1995, con l’uscita di Vibrator, i lunghi dreadlocks di Terence avevano lasciato il posto ad un centimetro di capelli biondo platino evidenziando un desiderio di cambiamento. Addirittura, qualche anno prima aveva fatto precedere il suo secondo album “Neither fish nor flesh” da un singolo pubblicato con lo pseudonimo The Incredible EG O’Reilly. Ora i dreadlocks neri sono tornati, e sotto ci sta Terence Trent D’Arby, alias Sananda Maitreya: ai due nomi è attribuito il nuovo disco. Siccome non si capisce più bene chi ci si trova davanti, si è cercata una spiegazione da parte dell’artista medesimo, che così ha chiarito la questione: “Io non sono diventato Sananda, mi sono semplicemente ricordato che lo ero. Oggi sono una persona libera che vive nel presente, nella grazia di ogni istante, perché nel profondo mi sono sempre preoccupato della verità. Da quando ho imparato ad accettarmi come Sananda vivere la mia verità è la sola cosa che mi importi davvero. Bisogna seguire il proprio cuore e le proprie passioni più profonde. Questa scoperta mi ha donato gioia, pace e armonia con me stesso”.

Gioia, pace e armonia che escono dalle 18 nuove canzoni di “Wildcard”, che scorrono via fluide emanando tutta la serenità che Terence/Sananda sembra avere scoperto. L’apertura è affidata all’intro acustica per voce e banjo di “O divina”, seguita dall’ingresso dei fiati e da un motivetto beatlesiano. Da qui si snoda un percorso abbastanza vario, che nella sostanza non si discosta molto da quanto già Terence ci aveva proposto nella prima fase della sua carriera: un’anima funky-soul coperta di una leggera spolverata pop. “Wildcard” trasuda soul in abbondanza, nonostante la matrice pop si faccia sentire con decisione. L’album è piacevole, a tratti solare come nei richiami doo-wop e west coast di “My dark places” o nelle soul ballad tipo “Sweetness”; a tratti si fa più notturno, come nel grintoso soul-blues di “The inner scream” (con Glen Ballard alle tastiere e alla chitarra) o nel funk di “Goodbye Diane”, mentre l’elettronica dà un maggiore contributo nella rockeggiante “SRR-636*” e nella sinuosa “Drivin’ me crazy”. In “Shalom” troviamo anche la steel guitar di Sonny Landreth.
Tutti i brani sono stati registrati a Los Angeles, nella casa-studio di Sananda, in totale libertà e indipendenza. Bentornato Mr. D’Arby, benvenuto Mr. Maitreya.


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