Yoko Ono - BLUEPRINT FOR A SUNRISE - la recensione

Recensione del 26 ott 2001

I tempi dei massacri critici per Yoko Ono sono passati da un pezzo. Finché John Lennon è rimasto in vita, sono fioccati giudizi pesantissimi, quando non offensivi. Al di là del sospetto che la sua presenza abbia accelerato la fine dei Beatles (che da solo è bastato a procurarle una solida ostilità), la sua carriera musicale ha raccolto prevalentemente sonore stroncature. Tanto per dare un’idea, il perfido Albert Goldman riferiva, nella sua celebre biografia di Lennon, di un critico che aveva paragonato la voce della Ono a quella di un ubriaco che vomita in una fogna. Probabilmente, la sua colpa maggiore era quella di essere la persona sbagliata al posto sbagliato: un’artista cresciuta nel giro dell’avanguardia piombata in una scena rock ancora fortemente legata alle sue origini di musica da teenager. Di sicuro, la Ono non pensava in termini di strofe, ritornelli e “ganci” orecchiabili. Tre decenni più tardi, dopo la new wave, il rumorismo, Laurie Anderson e altri scossoni al palazzo del rock, la sua presenza non è più così incongrua. “Blueprint for a sunrise”, con i suoi molti difetti, è un album rispettabile. Le note dolenti arrivano però quando la Ono si cala nei panni della cantante pop: un ruolo insidioso, visto che non può contare su un timbro particolarmente gradevole. Anche quando azzecca brani piacevoli come il reggae “I’m not getting enough” o “I remember everything”, il risultato lascia comunque a desiderare. Peccato, soprattutto per il secondo brano, l’unico dell’album su cui si stende l’ombra di Lennon. Le cose più interessanti arrivano quando Yoko è libera da obblighi melodici e interpreta i suoi brani in modo quasi recitativo o li punteggia con i suoi celebri strilli e lamenti, come accade nelle due parti di “I want you to remember me” e in “Wouldn’t ‘swing’”. Quando invece indugia troppo a lungo sui suoi inquietanti vocalizzi, l’impatto si smorza e il gioco diventa noioso, anche se la combinazione con i rumori chitarristici di Sean Lennon ha un suo fascino (in “Mulberry” ad esempio). In sintesi, un lavoro diseguale, con luci ed ombre. Ma conoscete altre vedove quasi settantenni capaci di fare cose del genere?


(Paolo Giovanazzi)

Tracklist

01. I want you to remember me A
02. I want you to remember me B
03. Is this what we do
04. Wouldnit ‘swing’
05. Soul got out of the box
06. Rising II
07. It’s time for action
08. I’m not getting enough
09. Mulberry
10. I remember everything
11. Are you looking for me?

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