Slipknot - IOWA - la recensione

Recensione del 18 set 2001 a cura di Angelo Ferrari

Il rumoroso e lungo “tam-tam” che ha preceduto l’uscita del nuovo disco degli Slipknot ha tenuto banco per diversi mesi sia sulle pagine di molte riviste specializzate, sia su diversi siti Internet. La fama della band, così come gli interessi puramente economici che le ruotano attorno, sono cresciuti inaspettatamente in maniera esponenziale da quando nel 1999 uscì l’epomino album. Ma più che un fenomeno musicale, stando alle numerose copertine loro dedicate dalle riviste (e non solo da quelle di musica), ora gli Slipknot sono un vero e proprio fenomeno di costume. Dopo i numerosi annunci diffusi dai nove membri degli Slipknot, quello che ci si aspettava da “Iowa” era un tipo di heavy metal duro, intransigente e completamente diverso da quello che li aveva presentati due anni fa agli occhi del mondo. Ora però che ascoltiamo questo lavoro, ci accorgiamo che non è poi tanto dissimile da “Slipknot”. È innegabile che ci siano forti influenze heavy metal di scuola Morbid Angel, Cannibal Corpse, Slayer e via dicendo, che non ci siano più i marcati “scratch” del DJ Sid Wilson che facevano tanto “trend”, che anche la raffigurazione di copertina sia quasi “Black metal” (guardate il caprone!), ma il caratteristico marchio di fabbrica nu metal degli Slipknot non sembra cambiato. E si ritrova a cominciare non solo dalla caratteristica introduzione strumentale (presente anche in “Slipknot”) ma anche dalla lunga e lancinante parte finale che dà il titolo al disco. C’è anche in “People=shit”, vero brano d’apertura e forse pezzo più pesante e memorabile per via del suo simpatico ritornello. Ma quello che sicuramente sarà considerato dai fan l’erede naturale dell’inno nu metal “Wait and bleed”, è il primo singolo estratto, “Left behind”. Qualche melodia s’insinua anche in “My plague”, dove si avverte qualche influenza alla Fear Factory; “Disasterpiece”è il brano che invece piacerà agli estimatori dei Morbid Angel, soprattutto per i suoi riff morbosi, mentre “Everything ends” ci ricorda i Cannibal Corpse. “Gently” è un riuscitissimo ripescaggio di un vecchio brano del primissimo album, dove a cantare non era ancora il buon Corey Taylor, ma un certo Andrew Colsefni. Distruttivo, estremo, destabilizzante: questi sono gli aggettivi che vengono in mente ascoltando “Iowa”, un esempio di come un certo tipo di musica estrema possa essere finalmente capace di scalare le classifiche di tutto il mondo. Certo, qualche fan della prima ora non apprezzerà questa pesante virata, ma parafrasando le parole del batterista Joey Jordison: “Che gusto ci sarebbe a fare i dischi l’uno uguale all’altro?”. Un’unica raccomandazione: alla larga i deboli di cuore!

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