Kelly Joyce - KELLY JOYCE - la recensione

Recensione del 08 ago 2001

Finalmente, ascoltando per intero l’album di una giovane salutata da critica e pubblico (in particolare da quest’ultimo) come la vera promessa del nuovo millennio, si riesce a mettere a fuoco un elemento che ai tempi del primo singolo era parzialmente sfuggito: Kelly Joyce è una macchina da spettacolo, più che una vera cantante. Tutto le è favorevole: l’età (sorprendentemente giovane), il background (viene da una famiglia di musicisti), l’aria esotica (specie in tempi di French Touch), il carattere (forte e determinato).

La sorreggono e la sostengono, a parte la famiglia, alcuni altri importanti elementi: i suoi musichieri (Francesco De Benedittis e Davide Esposito. Abili e dotati), i suoi strumentisti (tra gli altri il violinista e il violoncellista dei Quintorigo, gli ottimi Andrea e Gionata Costa), la casa discografica (la Universal, che la presenta come una vera e priorità internazionale).
Difficile fare un brutto lavoro con questi presupposti; e poi c’è la storia del singolo, “Vivre la vie”, effettivamente affascinante, ben riuscito, trascinante, scelto (a renderlo più “tormentone” di quanto non fosse) anche come sigla di “Striscia la notizia”, al punto che qualcuno confondeva Kelly Joyce con una delle veline.
Tra i brani c’è anche “Close to you”, un classico di Burt Bacharach portato al successo dai Carpenters: e proprio questo brano è un po’ la cartina di tornasole dell’intero album. Che è ben congegnato, ben suonato, ben prodotto: ma in cui manca un elemento fondamentale, la voce. Già, avete sentito bene: Kelly Joyce non è certo una cantante la cui voce rimanga impressa, e probabilmente lei stessa lo sa bene. Certo, dove non arriva l’ugola arrivano i vocoder, i tappeti di archi, più in generale gli strumenti. Però forse questo non basta a fare di una ragazza una brava cantante. Kelly ha già imparato molte arti: quella di stare su un palco, quella di presentare se stessa nel giusto modo, quella di dire cose non banali e di mostrare che oltre a un bel faccino ha anche un bel cervello. Ma se il suo disco è suggestivo e ultramoderno (ascoltate “Avec l’amour” o anche “Cherchez la femme”, due dei pezzi di punta dell’intero lavoro), per arrivare alla vera bellezza manca ancora qualcosa. Leggiamo che Kelly Joyce, nelle note biografiche, si definisce un’artista. Riconosciamo che sa bene cos’è la musica, che è preparata e più brava della media delle sue coetanee; e del resto anche Madonna, non una grande campionessa quanto a estensione delle corde vocali, ha mostrato nel tempo di aver segnato davvero l’evolversi del pop degli ultimi anni. Però vorremmo che, prima di raccontare se stessa come (ancora) non è, pazientasse un po’. E provasse a uscire da se stessa per guardarsi da fuori, e per cercare di crescere ancora. Il punto è: si può chiedere tutto questo a una diciottenne?


(Paola Maraone)

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