Tutti i brani sono arrangiati con classe e sono un tripudio di etnia non solo partenopea, visto che si mescolano sonorità di ogni dove. L’eccellente risultato finale è anche merito dei musicisti che accompagnano Barra e che vale davvero la pena di nominare: Lino Cannavacciuolo (che ha curato gli arrangiamenti e composto le musiche di molti brani oltre ad aver suonato il violino), Paolo Del Vecchio (chitarre) Sasà Pelosi (basso), Ivan Lacagnina (percussioni), Mario Conte (tastiere). Così come una citazione è doverosa anche per gli autori, con Barra, dei brani originali dell’album: Patrizio Trampetti, Massimo Andrei, Dario Iacobelli e lo stesso Lino Cannavacciuolo. Ma vanno segnalate anche le composizioni riprese da altri, come la stupenda versione trascinata de “Il canto dei Sanfedisti”, brano tradizionale di grandissima ispirazione che farebbe muovere anche le montagne, e quella di “Don Raffaè” (anche se nei crediti il pezzo viene attribuito al solo De Andrè, mentre è stato scritto a sei mano dal cantautore genovese, da Massimo Bubola e da Mauro Pagani).
Sul piano delle sonorità ci sono anche delle sorprese, ad esempio “Guerra” (il brano) gode di un gran incedere ai limiti del trip-hop, e l’elettronica in genere non è per niente disdegnata in tutto l’album, anche se sta più che altro dietro le quinte.
Non vorremmo dover attendere anni e anni per il prossimo album.
(Francesco Casale)