Stevie Nicks - TROUBLE IN SHANGRI-LA - la recensione

Recensione del 05 lug 2001

Scrivendo di questo disco, mi viene in mente un vecchio articolo pensato per il Mucchio Selvaggio da Stefano Ronzani: si intitolava “Il DNA del rock inglese” e parlava dei tratti distintivi che, al di là di ogni mutamento, si ritrovano immancabilmente nella musica d’oltremanica. Questo album di Stevie Nicks potrebbe invece servire da perfetto paradigma per quello che riguarda il pop-rock della west coast americana, ossia tutto quel genere che vede ammucchiati sulla stessa barca Eagles, Jackson Browne, alcune pagine di Tom Petty e James Taylor, Carole King e naturalmente loro, i Fleetwood Mac, che a un certo punto della loro vita sono diventati l’unica band inglese in grado di suonare più americana degli americani (se ricordate le feste d’insediamento alla Casa Bianca di Mr. Bill Clinton, loro c’erano sempre). E il bello è che, se prendete le ultime vicende artistiche di Stevie Nicks, non è che ci fosse da stare proprio allegri. Ricapitolando: i Mac sono ormai una meteora impazzita, fanno tour solo per i soldi, fanno dischi solo per fare tour ma restano le divinità casalinghe di ogni famiglia americana. Della loro commercializzazione e delle loro sbandate artistiche chi ne ha pagato il prezzo maggiore, almeno in termini di decadenza psicofisica, è stata proprio lei, Stevie Nicks, che nel corso degli anni ha visto affievolirsi la sua vena aggraziata e sexy fino a presentarsi come la brutta copia di se stessa, appesantita da alcol e droghe varie (altro classico di questo tipo di DNA). Disistima e crisi varie l’avevano portata sull’orlo irreversibile dell’insicurezza, terrorizzata alla sola idea di scrivere canzoni. Per “Trouble in Shangri-la” si sono mobilitati vecchi amici come Tom Petty, decisivo nel rifiutare di scriverle nuove canzoni («puoi farlo benissimo da sola», le ha detto, costringendola dopo un pianto sfrenato a riprendere la penna in mano) e nuove star della musica americana come Sheryl Crow, Sarah MacLachlan, Macy Gray. Il risultato è il miglior disco di Stevie Nicks forse dai tempi del suo esordio del 1981, “Bella donna”, con canzoni che potrebbero permettersi di risollevare le quotazioni dei Fleetwood Mac, se soltanto fossero state pensate e scritte per un loro disco. “Trouble in Shangri-la”, missato da Chris Lord-Alge e prodotto dalla stessa Nicks oltre a Sheryl Crow, Mike Campbell (Heartbreakers), Rick Nowels, John Shanks, Pierre Marchand, David Kahne, Jeff Trott, è per molti versi l’album del perfetto ritorno, il recupero di quel DNA che permette a Stevie Nicks di sedersi a testa alta tra le sue ritrovate colleghe e chiamare Sheryl Crow “la sorella minore che avrei sempre voluto avere, una parte della mia famiglia”. Da parte loro, Gray, MacLachlan e Crow lasciano trasparire per la
sexy gipsy degli anni ’80 tutto l’affetto e soprattutto il rispetto che è dovuto a chi, in un certo senso, ha insegnato loro cosa significa scrivere una bella canzone. And the legacy goes on...

(Luca Bernini)

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