Echo and The Bunnymen - FLOWERS - la recensione

Recensione del 11 lug 2001

Brit pop, anno di grazia 2001: gli Echo and the Bunnymen non hanno bisogno di fare il punto della loro carriera, dopo le vicissitudini che li hanno portati ad essere una delle più stimate band sul panorama internazionale, ne’ tanto meno di dimostrare qualcosa dopo la lunga pausa che li ha portati sull’orlo dello scioglimento. Semplicemente, Ian McCulloch e Will Sergeant hanno voluto – o cercato, a seconda dei punti di vista – di tornare alle origini, con un album graziosamente e sinceramente pop, molto più vicino a “Crocodiles” che alle uscite recenti: “Flowers” è infatti un album ben scritto ed essenziale, che ha il suo punto di forza innanzitutto nel songwriting (di prima qualità, semmai fosse il caso di precisarlo), e che non ha bisogno di ricorrere ad artifizi postproduttivi per colmare lacune concettuali o per rincorrere a particolari sonorità. Tessiture chitarristiche convincenti e melodie vocali dalla spiccata appetibilità, la ricetta rimane sempre la stessa: il singolo “It’s alright” ne è una dimostrazione sufficientemente lampante, ma anche quando le sonorità si fanno più asciutte (penso a “Hide and seek”, o a “Buried alive”, per esempio) la classe e l’esperienza della premiata ditta McCulloch-Sergeant riesce ad esprimersi nella sua forma migliore. Si potrà forse obbiettare, ai due veterani della brit scene, di aver rispolverato una formula di sicuro successo ma di relativa novità: al di là della scrittura (che è quella, e nessuno avrebbe preteso che cambiasse) è puro vero che certe trovate riguardanti il sound e l’arrangiamento non brillano certo per la spiccata vis innovativa. Forse l’unica, piccola pecca (o pregio, anche qui il dibattito è aperto), per una band che, a vent’anni dalla sua comparsa sulle scene, ha avuto il coraggio di rimettersi in discussione, facendo tabula rasa della propria carriera per ricominciare, è il caso di dirlo, una nuova vita (artistica). Con buona pace del signor McCulloch, che definirebbe questi discorsi “da scribacchini”, ma che è stato il primo ad esprimere entusiasmo per questo repentino – ma meditato – ritorno alle origini: a dimostrazione che il pop d’oltremanica, a prescindere dai dati anagrafici, non abbia la minima intenzione di farsi archiviare dalla storia.


(Davide Poliani)

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