Rob Halford - LIVE INSURRECTION - la recensione

Recensione del 27 ago 2001

Rob Halford ha indubbiamente assunto lo status di icona del metal. Formatosi ai tempi dei Judas Priest, si era allontanato dai territori heavy metal con un paio di progetti collaterali alquanto discutibili (Fight e Two). Con l'album dello scorso anno, "Resurrection", era ritornato alla grande sui binari di sempre, che gli erano certamente più congeniali. Questo "Live insurrection" giunge a neanche un anno da "Resurrection" ed è il coronamento del grande comeback di Rob sulle scene, pari solamente a un altro grande tour del ritorno: quello di "Brave new world" di Maideniana memoria. Pubblicata in due CD, la qui presente opera ci presenta il calvo vocalist come uno dei più potenti e carismatici cantanti live del genere in circolazione, paragonabile a Bruce Dickinson. Proprio con quest'ultimo è incluso un entusiasmante duetto intitolato "The one you love to hate", la premessa di una futura collaborazione tra virtuosi. Un paio di incursioni sono tratte dal periodo Fight ("Nailed to the gun" e "Into the pit"), ma non mancano due tracce inedite provenienti dalla versione giapponese del suo studio album ("Sad wings" e "Hell’s last survivor"). Aggiunti anche dei nuovi brani da studio, posti in scaletta per rendere più goloso il disco e rintracciabili in "Heart of a lion", "Prisoner of your eyes" (due vecchi brani risalenti al periodo '80 dei Priest) e "Screaming in the dark". Gli hits di "Resurrection", come l'omonimo brano, "Cyberworld", "Saviour", "Slow down" e "Made in hell" riescono anche qui a colpire nel segno come fecero al loro esordio, ma le canzoni che sicuramente faranno spiccare i salti di gioia a tutti i fan sono le grandi "Breaking the law", "Electric eye", "Tyrant", "Stained class", "Riding on the wind" e "Jawbreaker", brani dei Judas Priest che Halford interpreta con vera classe e potenza. Nel complesso il disco rende giustizia alla autorevolezza del nostro Rob e l'unico appunto che si può fare forse è la troppa pulizia in fase di produzione, in special modo su "Unleashed in the east", pezzo di indubbia bellezza ma palesemente ritoccato. Forse, per essere promosso a pieni voti, il disco doveva essere lasciato intatto nella sua crudezza e semplicità, ma la professionalità del produttore Roy Z certamente ci ha messo lo zampino, non riuscendo a stare solamente a guardare. Un ottimo live album che fa impallidire quello del '98 dei suoi ex compagni ("Meltdown").


(Angelo Ferrari)

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