(Paolo Giovanazzi)
Harddiskaunt - SKATERPILLAR - la recensione
Recensione del 26 mag 2001
Che lo ska si stia facendo largo in modo notevole nel sottobosco indie italiano è un dato di fatto. Si moltiplicano i gruppi e i concerti richiamano sempre un buon pubblico, visto che in genere si balla e ci si diverte (due cose che non sempre capita di fare con i gruppi "alternativi"). Gli Harddiskaunt si inseriscono nel filone più rude boy, il che significa che non ci sono commistioni con il punk. In “Skaterpillar” c’è invece un’apertura inattesa verso la pratica del remix con la versione drum & bass di “Amsterdam train”, posta opportunamente in chiusura del CD. A parte questa concessione, il resto dei brani viaggiano sul consueto binario del ritmo in levare e mostrano un gruppo rodato e convincente dal punto di vista strumentale. Certo, si nota che la produzione non è esattamente roba da multinazionale miliardaria, ma non è un grosso problema. Le note dolenti arrivano semmai con i testi, che hanno il giusto tono - divertito ma non necessariamente cretino -, ma hanno limiti evidenti dal punto di vista metrico. Presi dal raccontare le loro storie, gli Harddiskaunt sembrano dimenticare ogni tanto che non conta solo il significato di quello che si sta cantando, ma anche il modo in cui le parole si incastrano con la musica. Qui invece c’è qualche capriola di troppo per far quadrare metriche non sempre impeccabili, il che ovviamente non giova al risultato finale. “Skaterpillar” lascia intravedere una band fatta soprattutto per i concerti, quando conta la capacità di far muovere la gente sotto il palco più che quella di trovare una rima che funzioni. Canzoni come “Spondamagra rudeboy” o “Costretti a eiaculare” per il momento possono assolvere a questa necessità. Lasciamoli divertire: per raggiungere la famosa “maturità compositiva” c’è ancora tempo.
(Paolo Giovanazzi)
(Paolo Giovanazzi)