Talvin Singh - HA - la recensione

Recensione del 24 mag 2001

Dopo l’esordio del 1999 con “Ok” (che ha conquistato il Technics Mercury Muzic Prize attribuito da una giuria di critici musicali e docenti universitari), Talvin Singh, percussionista e manipolatore di marchingegni elettronici di origine indiana torna a farsi sentire con un nuovo album dal titolo monosillabico e (in)comprensibile in tutte le lingue: “Ha”. Registrato fra Londra e Bombay, “Ha” ricalca più o meno gli schemi già messi in atto nel lavoro precedente, riuscendo nella difficile impresa di far convivere i ritmi elettronici inglesi di fine millennio con le antiche melodie indiane e più in generale orientali. Ritmi dub e breakbeat, asettici campionamenti e liquide tabla (lo strumento prediletto da Talvin), ma anche quartetto d’archi (“The beat goes on”), mandolino (“Sway of the verses”) e flauto (“Rakesh Chaurasia”) creano un mondo sonoro eterogeneo, cosmopolita, seppur guidato da un kharma indiano e profondamente legato alla cultura asiatica. Da quella cultura, così lontana da quella della metropoli londinese, partono le direttive per uno sforzo di allargamento degli orizzonti ritmico-sonori, che si dipanano lungo un sentiero tutt’altro che semplice, ma pacato ed elettronicamente sereno.


(Diego Ancordi)

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